Sul Sole e sul numero
“O risplendente Sole, cosa mai saresti tu,
se non ci fossi io, quaggiù, su cui risplendere?”
Nell’ambito della Dottrina Tradizionale quando ci si riferisce, anche in senso generale, alla “solarità” è d’uopo considerare una duplice manifestazione di influenze spirituali, che, se in apparenza posso sembrare opposte, in realtà, sono fasi complementari di un preciso e perfetto processo risolutivo e realizzativo. Per far comprendere al meglio ciò che intendiamo ci si potrebbe riferire al significato ermetico della formula solve et coagula, che effettivamente esplicita tutto il segreto della Grande Opera, riproducendo le due fasi della manifestazione universale. A seconda dello stato che si considera, si avranno processi inversi, complementari e soprattutto simultanei: vi sarà una soluzione, quando, partendo da uno stato di manifestazione, si attuerà un movimento di ritorno verso il non-manifestato; vi sarà una coagulazione, quando, realizzandosi un processo cosmogonico, si passerà da uno stato di non-manifestazione a quello manifestato. Sono le direzioni ascendenti e discendenti che nella tradizione estremo-orientale sono riferite allo yang ed allo yin, al Cielo ed alla Terra, è la duplice funzione della Luce che esprime sia l’Attività del Cielo nel Cosmo, sia la realizzazione dello stesso nell’Unità Primordiale. La solarità, quindi, come processo di irradiazione divina che partendo dal Logos Originario si espande in tutti gli ambiti del creato – si ricordi il Fiat Lux della Genesi -, ma anche come trasmutazione che svincola l’essere dalla propria umanità, dalla propria cosmicità, restituendogli l’edenica spiritualità. Le due fasi indicate possiamo assimilarle ad analoghe simbologie, che in varie forme tradizionali fanno sempre riferimento alle due vie di realizzazione dei piccoli misteri o dei grandi misteri: è tale il significato che alchemicamente si attribuisce all’opera al bianco e all’opera al rosso, come “manifestazione dantesca” del Paradiso terrestre e del Paradiso Celeste, come risoluzione delle Forme e dei Ritmi nel Silenzio e del Silenzio nell’Ineffabile. Questa nostra introduzione sulla solarità la riteniamo indispensabile per addentrarci con maggiore profondità e chiarezza in quello che è l’argomento cardine di codesto scritto, cioè la funzione simbolica che assumono a livello cosmologico certi numeri – in particolare uno, da cui deriveranno tutti gli altri -, che ritrovandosi sistematicamente in più forme della Tradizione, costituisco dei veri e propri archetipi a cui è possibile riferirsi per comprendere il manifestarsi, nel corso della storia dell’uomo, di civiltà diverse da un punto di vista sostanziale, ma simili da un punto di vista essenziale. In precedenza, abbiamo fatto riferimento alla Luce come elemento d’irradiazione di influenze spirituali, ma essa, in ambito divino o umano, promana da un Centro, dal Sole, come sorgente inesauribile di vita, seme di vita, luce delle terra, che in antiche ideografie esprimeva l’Uomo, ove, come nel corso annuale, come nel solve et coagula, vi è un processo di morte e di rinascita, di inverno e primavera; quindi, i ritmi annuali della Luce come legge universale di rinnovamento, il mito solare, presente in tutte le civiltà tradizionali, come espressione di un’ascesa verso il divino. A tal punto, incontriamo il numero simbolico da cui sono derivate tutte le nostre precedenti considerazioni e deriveranno le seguenti: esso è il 12, quante sono, appunto, le suddivisioni dell’anno solare. E’ fondamentale ricordare in merito come René Guénon ne Il Re del Mondo, riferendosi alla gerarchia iniziatica dell’Agarttha, abbia affermato, riprendendo la descrizione di Saint-Yves, che “il cerchio più alto e più vicino al centro misterioso si compone di dodici membri, che rappresentano l’iniziazione suprema e corrispondono, fra l’altro, alla zona zodiacale” e che, riferendosi tale descrizione al Centro Unico e Supremo, ovunque si manifestino certe caratteristiche, è possibile ravvisare la presenza di filiazioni più o meno dirette di tradizioni particolari dalla grande Tradizione Primordiale. Tale struttura iniziatica è possibile ritrovarla nelle più diverse forme tradizionali, nelle civiltà più lontane nel tempo e nello spazio. Considerando le tradizioni d’Oriente, possiamo notare come tale e importante similitudine si riscontri in maniera notevole. Nella tradizione indù vi sono i dodici Aditya (Dhàtri, Mitra, Aryaman, Rudra, Varuna, Sùrya, Bhaga, Vivaswat, Pùshan, Savitri, Twashtri, Vishnu), che sono altrettante forme del Sole, quale essenza unica ed indivisibile, che, alla fine del ciclo, appariranno tutti simultaneamente, reintegrandosi nel principio essenziale della loro emanazione; ai dodici soli, inoltre, nella medesima civiltà corrispondono le dodici partizioni delle Leggi di Manu. Il Consiglio Circolare del Dalai-Lama, nella tradizione tibetana, è costituito da dodici grandi Namshan, come dodici sarebbero i discepoli di Laotze nel Taoismo. Se, poi, consideriamo tradizioni più vicine a noi, notiamo che la gerarchia iniziatica dell’Agarttha si ritrova ovunque: nella tradizione ebraica dodici sono le porte della Gerusalemme Celeste, come dodici sono i discepoli del Cristo o gli eroi divini di Asen del Mitgard nella tradizione nordica. Il numero simbolico preso in considerazione si ritrova in miti raffiguranti un’ascesi guerriera, come nelle dodici battaglie della via solare dell’eroe caldeo Gilgamesh, “di là dalle acque della morte” o nelle dodici fatiche compiute da Eracle. Tale concordanza la ritroviamo fin nel pieno della storia e dei racconti mitici del Medioevo: infatti, dodici erano i Conti palatini di Carlomagno, come dodici erano i cavalieri della Tavola Rotonda di Artù e della ricerca del Santo Graal. Se, poi, facciamo riferimento alla nostra tradizione, a quella greco-romana, la presenza del numero 12 è costante: tale era il numero delle divinità nell’Olimpo, degli avvoltoi che vide Romolo, che gli attribuirono il diritto di dare il suo nome alla città eterna; dodici erano il numero degli ancilia che Numa determinò nel collegio dei Salii per la custodia del pignus imperii; dodici furono a Roma gli altari del dio Giano, come dodici furono, secondo Varrone, le massime divinità romane e soprattutto dodici furono le verghe che costituirono l’emblema dell’universalità romana, il Fascio. Per inciso, ricordiamo anche come dodici fossero gli iniziati SS durante il rito dell’aria soffocante, praticato nel castello di Wewesburg, centro di formazione militar-spirituale tra le due guerre mondiali in Germania. Anche se tutti questi riferimenti possono apparire tediosi o ripetitivi, li reputiamo fondamentali per far comprendere che tutto ciò non può essere ricondotto ad una pura casualità, ma che tutto evidenzia chiaramente la presenza di una precisa ed originaria matrice tradizionale, che ha forgiato nel corso dei secoli le più diverse civiltà, ma sempre sotto le insegne divine della Tradizione. E’ importante, una volta analizzate tali corrispondenze, capire come il numero 12 rappresenti precisamente il piano cosmologico e il suo riferimento zodiacale ne è la riprova, e che la risoluzione di tale status ne è precisamente il superamento, cioè il ritorno allo stato primordiale di non-dualità, ove tutte le cose si ricongiungono nell’Unità che le ha emanate. A tal riguardo, è interessante notare come aggiungendo l’1 ed il 2 si ottiene il 3, cioè la forma trinitaria, la ricomposizione dell’Unità, la coincidentia oppositorum, il centro della croce ove si riassumono tutte le modalità d’esistenza del manifestato: ecco realizzarsi il senso di ciò che scrivevamo in precedenza sulla formula ermetica solve et coagula! Si ricordi, inoltre, come il numero 12 sia assimilabile alla Terra ed il numero 10 al Cielo, in rapporto con la Luna-yin ed il Sole-yang. Ciò dimostra come nel caso del 10, la via del Cielo, l’Unità vi è già presente (1+0=1), mentre nel 12, numero del Cosmo, tale non-dualità devesi “operare” (1+2=3…1). A questo punto, è necessario andare oltre nel nostro approfondimento concentrandosi su ciò che potremmo definire “l’unità ritrovata”, che ovviamente – riteniamo sia superfluo specificarlo – ha una valenza sia macrocosmica, quanto microcosmica. Per far ciò, dobbiamo riferirci ad un altro numero simbolico, che per i più è indice di cattiva sorte, ma che, grazie alle indicazioni di Julius Evola, nell’ambito degli studi tradizionali ha ritrovato il suo reale significato: ci riferiamo al numero 13. Se abbiamo specificato che il numero 12 segnala la presenza di un centro iniziatico tradizionale, che rappresenta i ritmi del corso annuale, della manifestazione, del Cosmo, abbiamo anche detto che tutto la molteplicità deve ricondursi ad una non-dualità originaria, ad un Centro che vivifica tutti gli esseri di un collegio sacerdotale, di una cerchia guerriera, come quella della Tavola Rotonda, di tutta la creazione, Artù, il Cristo, come Sole Spirituale, che tutta illumina ed unisce…il Tredicesimo! Tale è il posto che viene definito “pericoloso”, perché riservato solo a chi è qualificato ontologicamente a risiedervi, a colui che ha riscoperto l’ineffabilità del Silenzio, colui che, facendo giustizia dentro di sé, ha potuto vincere il Guardiano della Soglia e attraversare la porta stretta, la janua-coeli riservata agli eroi che hanno conquistato l’eterno presente, impresso nel terzo occhio di Shiva e splendente nel terzo volto di Giano…ora visibile! Guai a chi non degno voglia titanicamente appropriarsi del potere, sarà colpito dalle peggiori sventure, la folgore di Juppiter lo punirà irrimediabilmente. Il posto “pericoloso”, il tredicesimo è riservato a Parsifal, eroe del Graal, a sir Gawain, ad Indra giustiziere del mostro Vtra, al misterioso Dux e Veltro di Dante. Ecco esplicitata la valenza nefasta che nel mondo moderno ha tale numero simbolico, essendo oramai l’uomo dei nostri tempi, lontano dalla Tradizione, non più in grado di vincere la sfida per la conquista del posto “pericoloso”, inebetito dalla satanica normalità del progresso. Sono fondamentali certe considerazioni, anche per ben valutare la reale azione contro-iniziatica di certe pratiche neospiritualiste o di certe aggregazioni paramassoniche, che scimmiottano solamente un veritiero processo di ascensione al divino ed oramai inaccessibili centri iniziatici tradizionali. La nostra disquisizione numerologica e solare ha un duplice scopo, principalmente dottrinale, ma anche d’informazione preventiva. Quanto detto sul Tredicesimo, sul posto “pericoloso”, deve metterci in guarda contro le avventure ammaliatrici del panteismo moderno, sia per l’assenza in tutte le organizzazione pseudo-iniziatiche di quel Centro che le conferisce “l’eterna attualità tradizionale”e, quindi, il crisma della Verità, sia per la pericolosità insita nelle diffuse pratiche sincretiche d’oggi giorno, ove si mescola allo yoga un po’ di celtismo o un po’ di ufologia, o altre insalate teosofiche, medianiche o New Age, in cui, invece, di rigenerarsi nel mondo dei Ritmi ed aspirare al Silenzio, si sprofonda terribilmente nel mondo delle Forme. A tal punto, si può facilmente intuire il perché tale numero abbiamo assunto una valenza prettamente negativa, nonostante la sua origine solare e divina: tale è il processo di una tradizione quando perde il cardine della propria esistenza, la sua essenza vitale; diviene un substrato inconscio di credenze volgarizzate, che il folklore, la credenza popolare mantiene in vita come meri fantocci, come composti psichici ormai svuotati della propria scintilla vitalizzante. Concludiamo la nostra esposizione con la speranza di aver offerto ai lettori di questa rivista un’altra accurata analisi dell’aspetto numerologico e solare nelle diverse forme tradizionali, affinchè possano essere spunti di riflessione e introspezione personale:”L’essenza delle cose, che è eterna, e la stessa natura, ammettono sì la conoscenza divina, ma non l’umana oltre questo punto: che non potrebbe alcuno degli enti venir conosciuto da noi, se non esistessero le essenze delle cose, da cui consta l’universo, sia delle limitate sia delle illimitate”(Filolao, fr.16).