Analisi contemplativa del concetto di «conoscenza intellettuale dell’Assoluto divino» – Agostino e Porfirio.
Abstract.
In questo articolo ci siamo proposti di esaminare la questione critica dell’effettiva possibilità della conoscenza intellettuale dell’Assoluto divino (CIAD). Possibilità ammessa nel contesto del Paganesimo ma negata nel contesto del Cristianesimo. Nel primo essa veniva ammessa in tutta la metafisica neoplatonica pagana (specie sulla base della dottrina plotiniana dell’identità dell’intelletto umano con quello divino), ma anche nel contesto della prassi cultuale-rituale di tipo iniziatico. Nel secondo essa veniva invece negata sulla base del tradizionale argomento dell’assoluta trascendenza di Dio nei confronti dell’uomo, e senza alcuna eccezione per l’intellettualità di quest’ultimo. Posizione questa che poi si sarebbe strutturata nella rigida separazione dogmatica tra teologia positiva (o razionale-naturale) e negativa (o sovrannaturale). Con questa seconda è stato poi sempre inteso il corpus sapienziale della Rivelazione, il cui contenuto in verità divine veniva pertanto ritenuto inaccessibile alla Ragione umana. Radicalmente diversa a tale proposito è sempre stata la posizione pagana, rappresentata poi in primo luogo da quella filosofia neoplatonica che concepì una vera e propria ascesa «filosofica» (o «teoretica»). La quale può senz’altro essere intesa come una vera e propria ascesi mistica. Abbiamo indagato questo complessivo scenario di idee selezionando un suo luogo storico-filosofico particolare, e cioè la ben documentata polemica intercorsa tra Porfirio e gli apologeti cristiani, specie Agostino. L’indagine è stata condotta su una selezione di testi del primo raffrontate a loro volta con il De Trinitate di Agostino. Ebbene, per mezzo di tale raffronto testuale, ci è sembrato di poter concludere che la controversia sull’effettiva possibilità della CIAD non ha una vera base dottrinaria di tipo metafisico-integrale. Per cui essa può essere negata solo su un piano dialogico-discorsivo di tipo razionalistico, naturalistico ed immanentistico. Non lo può invece affatto se concepita nel contesto di un pensiero davvero iper-razionale. Cosa che, almeno in via di principio, ci sembra del tutto alla portata anche della metafisica cristiane, e non solo invece di quella pagana.
Introduzione
È ben noto che il tema della conoscenza intellettuale dell’Assoluto divino (CIAD) è stato fin da subito un tema estremamente conflittuale entro il rapporto tra metafisica teologica pagana e cristiana. E qui senz’altro il Neoplatonismo assume un ruolo di primo piano. Come attestato dalla Remes[1], secondo la quale il distacco dal mondo ha in esso un senso radicalmente diverso da quello cristiano proprio per il fatto che con tale atto non si tende alla salvezza ma invece proprio all’esperienza intellettuale immersiva (“immersion in perfect intelligibility”) nel divino.
Ci riferiamo qui comunque in particolare alla fase già piuttosto avanzata di tale polemica e cioè quella che si sviluppava intorno al pensiero di Porfirio (allievo e successore di Plotino). Proprio questo pensatore veniva infatti commentato da più autori cristiani, e precisamente in un modo estremamente critico se non sarcastico ed offensivo[2]. E sta di fatto che proprio attraverso siffatti commenti che conosciamo testi originali andati perduti.
Uno dei commentatori qui in causa è quell’Agostino di Ippona sul cui pensiero in questo articolo ci soffermeremo per mezzo del suo testo De Trinitate. E così impiegheremo qui il pensatore ed il relativo testo come rappresentanti della posizione filosofico-metafisica cristiana. In tempi moderni Fritjof Schuon ha riassunto l’intera problematica nel suo testo Logica e trascendenza[3], nel quale si sostiene la piena possibilità e legittimità di una CIAD da parte dell’uomo. E ciò principalmente sulla base delle capacità naturali che sarebbero proprie dell’intelletto umano ; e quindi sulla base della naturale e completa affinità di quest’ultimo con l’Uno divino quale oggetto di conoscenza. Tali argomentazioni di Schuon non sono in verità molto lontane da quelle sviluppate da buona parte del platonismo e neoplatonismo cristiano intorno alla conoscenza animico-interiore di Dio, e con particolare accento sulla presenza effettiva di Dio stesso, quale verità, in interiore homine (argomento ontologico). Ed Agostino è stato senz’altro uno dei principali sostenitori di tale dottrina. Certamente comunque, entro l’esposizione sintetica offertaci da Schuon, non si può affatto parlare della capacità della divinizzazione della razionalità umana (animica ma immanente), e quindi della capacità proprio di quest’ultima di conoscere la verità divina. Seguendo l’impostazione neoplatonico-pagana, specie plotiniana, lo studioso mantiene infatti costante una netta distinzione tra Intelletto e Ragione. Laddove resta chiaro che quest’ultima costituisce una «dianoia» meramente dialogico-discorsiva, e quindi un logos esclusivamente filosofico (inferiore in quanto immanente), che segue il destino nell’anima nella sua radicale discrepanza onto-metafisica rispetto a quell’intelletto che invece in sé non cessa mai di essere divino. È certo inoltre che in Plotino si può e si deve parlare di una “non-discesa”[4] dell’anima rispetto all’intelletto. Ma ciò significa in primo luogo che essa non ha una sostanza indipendente rispetto al secondo, sebbene si trovi ontologicamente più in basso. Ben più ambizioso è invece l’accento posto da Agostino sulla Ragione umana – per quanto ciò avvenga nel contesto della dottrina platonica dell’anima[5], e peraltro con non pochi apporti plotiniani. Il Gilson[6] ritiene anzi il pensiero dell’Ipponate dipendente in modo molto stretto da quello di Plotino. Insomma il pensatore assolutizza la razionalità (che intanto ha però posto, come Plotino, al culmine stesso dell’anima conoscente, o mente), considerandola così di fatto l’elemento più trascendente dell’animicità interiore umana. E ciò in quanto posta di fatto sul piano dell’eternità e dell’immortalità. Dunque capace in sé (in forza della sua immateriale sostanza) di quella “contemplazione” senza la quale il pensiero è sempre troppo distante da Dio per poterlo davvero conoscere. In questo senso, pur riconosciute le debite distanze rispetto alla dottrina neoplatonico-pagana della CIAD (qui affermata in modo decisamente positivo), va comunque qui ritrovato almeno lo spazio per una riflessione sulla tendenziale espansibilità di questa stessa dottrina. Che comunque in ambito cristiano viene invece affermata solo in senso negativo.
Ebbene credo che si debba iniziare senz’altro proprio da qui per affrontare la questione per mezzo di un criterio che permetta di seguire non il filo delle opposizioni ma invece il filo delle potenziali prossimità tra i due fronti (così fieramente schierati l’uno contro l’altro). Siamo infatti convinti che siano state soprattutto urgenti necessità storiche quelle che hanno generato tra queste due posizioni un conflitto che non ha in sé ragioni davvero oggettive, ovvero dottrinarie. Tali necessità storiche sono senz’altro quelle che spingevano un Cristianesimo volontariamente missionario verso la vocazione universale («ecumenica») che esso sentiva così fortemente in sé. Ed il cui primo passo in tal senso fu lo sforzo di sfruttare la rivolta delle masse contro l’aristocrazia ellenistico-romana[7], impersonando così sul piano teologico le esigenze delle prime (e sgominando così anche le teologie metafisiche concorrenti, sia delle religioni misteriche orientali sia di quella vera e propria religione filosofica che fu lo stoicismo). Il secondo passo fu poi quello di occupare lo stesso spazio storico-geografico e politico dell’«Imperium»[8]. Operazione che si sarebbe conclusa poi solo molti secoli dopo con la conquista del mondo intero da parte delle armate ispano-cattoliche. E con l’annientamento in tal modo di ogni residuo planetario di Paganesimo.
Insomma, se la metafisica pagana iniziava a rendersi conto solo allora (ma decisamente troppo tardi) del prezzo da pagare per non aver voluto essere una vera e propria teologia, cioè una Chiesa istituzionale[9] – e così iniziava a mobilitarsi contro il Cristianesimo –, la prima mossa della guerra va attribuita senz’altro a quest’ultimo. E quindi anche la responsabilità di una polemica tanto virulenta quanto in primo luogo strumentale, ovvero posta in atto a fini ben più strategici che non invece dottrinari. Una polemica di guerra, insomma, che poi sarebbe continuata ininterrottamente nel corso delle incessanti lotte storiche contro le «eresie». Ed in tale contesto bisogna dunque prendere atto senz’altro dell’evidenza di una vera e propria usurpazione a danno del Paganesimo. Consistita a nostro avviso soprattutto nel volersi attribuire la proprietà esclusiva su un pensiero metafisico (con la presentazione di una metafisica sofisticata che invece un Paganesimo ingenuo, volgare e corrotto non avrebbe mai avuto), che in verità però non era mai stato affatto suo. Al di là infatti dell’elaborazione del concetto metafisico di Dio immanente o vivo, che trova nel Cristianesimo una formulazione forse davvero unica (ma che comunque trova notevoli una precisa eco in moltissime tradizioni pagane, oltre che in quel politeismo monoteista che fu l’induismo)[10], è chiaro che la metafisica cristiana del Dio trascendente (poi sviluppata notevolmente nella sua mistica) trova le sue radici nella religione giudaica. Ma quest’ultima va poi riconosciuta come strettamente legata al quella tradizione teologico-metafisica mazdeico-avestica che aveva costituito l’autentico ponte tra il politeismo monoteista orientale (induismo vedico) ed il monoteismo storico-geografico occidentale[11]. Inoltre vanno riconosciuti perfino i legami della religione giudaica con molte religioni pagane del bacino mediterraneo orientale, inclusa quella greco-cretese[12]. Una testimonianza in tal senso ci viene peraltro proprio dallo stesso Eusebio (nella sua lettura di Porfirio), che parla di un’autentica stretta prossimità tra il dio Apollo e gli Ebrei[13]. Ed a tale proposito qui non si può davvero dimenticare il fatto che Nietzsche[14] accusò il Cristianesimo di non aver fatto altro che appropriarsi della metafisica greca, specie platonica.
Tutto questo però non significa altro che questo : – quando si parla di metafisica, non bisognerebbe mai dimenticare che essa è una ed una sola! Non però nel forzoso senso dell’universalismo ecumenico (cioè in forza di un mero atto storico), bensì invece in sé e per sé. Come del resto sostenuto da moltissimi studiosi tradizionali[15]. I quali convergono tutti (sebbene nelle differenze che comunque li contraddistinguono) verso la delineazione di un’unica metafisica a diffusione planetaria (eterna, trascendente e sovrumana), alla quale si può dare il multiplo nome di “Scienza Sacra” o “Religio aeterna”. Ebbene, tale metafisica può e deve essere riconosciuta come “integrale” (Vallin), e quindi come in grado di riassorbire in sé qualunque metafisica storico-geografica (e conseguentemente anche qualunque locale tradizione metafisico-religiosa o teologica). Ed il Cristianesimo rientra senz’ombra di dubbio in tale riducibilità. Così come anche il Paganesimo greco-romano stesso. Sebbene, con l’estremamente rilevante differenza tra le due posizioni, rappresentata dalla ben diversa consapevolezza di tale riducibilità. Massima nel Paganesimo greco-romano[16], e minima, anzi per la verità nulla, nel Cristianesimo. Possiamo dunque riscontrare proprio in questo il nucleo dell’intera questione. La differenza tra le due posizioni appare infatti segnata proprio da quella propensione polemica del Cristianesimo che è chiaro indice del violento rigetto di questa pur necessaria consapevolezza. Pena lo snaturamento completo dell’esperienza religiosa che ne risulta (completamente offuscata dalle esigenze di una mera Istituzione). Ed in realtà, in base a quanto chiarito da Schuon[17], la vera vocazione del Cristianesimo non appare essere stata affatto questa. Insomma deve stare proprio qui il nucleo negativo e fuorviante dell’intero questione della CIAD. Perfino al di là del fatto del se la CIAD sia effettivamente possibile o meno. Difficoltà che senz’altro viene sottolineata con forza da Agostino, e non senza ragione. Ma che è comunque impossibile che non sia stata ben presente alla metafisica pagana. E peraltro nel contesto di una propensione alla sublimità del pensiero (propria della prospettiva iper-razionale) che è tale da rende ben più probabile, nel suo contest, una consapevolezza addirittura maggiore di quella cristiana. Constateremo molte tracce di questo proprio nel pensiero di Porfirio.
I- La CIAD presso Porfirio
Proprio per questo, prima di dedicarci agli spunti emergenti dal testo di De Trinitate, e prima anche di prendere in esame il pensiero di Porfirio, crediamo di dover illustrare il più sinteticamente possibile gli elementi per poter raffigurare il modo in cui la CIAD dovette essere sentita entro il Paganesimo greco-romano.
In primo luogo va dunque gettato uno sguardo sulla stessa tradizione costituita dalla religiosità misterica[18]. E che poi costituisce in primo luogo quella cultualità religiosa largamente popolare alla quale sempre mettè capo una dottrina metafisico-religiosa invece estremamente sofisticata. Come tale in gran parte segreta, e pertanto appannaggio delle sole élites aristocratico-sacerdotali (esoterismo élitario). Ebbene, la prassi iniziatica era senz’altro al centro di questa così multiforme dottrina ed essa costituiva indubbiamente un’ascesa verso il Principio divino. Del resto proprio quest’ultima fu la base sulla quale il pensiero filosofico-metafisico neoplatonico-pagano si mosse nel concepire una vera e propria “teurgia” (sebbene il valore attribuito ad essa abbia conosciuto accenti abbastanza diversi)[19]. Ossia una base cultuale e pratica che può bene essere assimilata alla dimensione della «Fede» quale punto di partenza della dimensione della «Ragione». Ora, non vi è dubbio che si può riscontrare qui un’intensità dell’esperienza religiosa che non trova pari nel corrispondente versante cristiano. Ed uno dei suoi principali aspetti può essere considerato senz’altro proprio la doppia valenza, ignorante e colta, che ha la stessa unitaria esperienza. Cosa poi senz’altro in relazione con l’ammissione del fenomeno di quel manifestarsi discendente del dio che sempre soverchia così completamente l’essere umano (“enthousiasmos”) da portarlo letteralmente fuori di sé. Proprio su questa linea verticale, però, appare essere concepibile anche l’ascesa al divino. E questa senz’altro deve anche prescindere (trascendendole) dalle componenti sensuali-orgiastiche dell’esperienza religiosa discensiva. Il che rivela poi che le caratteristiche indubbiamente inquietanti di quest’ultima sono da attribuire semplicemente alle cogenze imposte dal punto di vista di un’umano-immanente. Il quale, essendo letteralmente invaso dal divino-trascendente, non può in alcun modo conservare la sua usuale integrità. Ma è allora del tutto ovvio che, intraprendendo la direzione opposta (quella dell’ascesa), tali inconvenienti vengano corretti. In questo senso allora l’ascesa va a correggere la discesa. Ma comunque nel senso di una correzione e non invece di una sostituzione esautorante. E qui viene decisamente in primo piano l’aspetto genuinamente «filosofico» (ma anche ovviamente metafisico-religioso) – e dunque in qualche modo razionale e non invece sensuale – della correzione che è qui in causa. Va anche considerato che, nella figura di Śiva[20] (estremamente simile a Dioniso), la religione indù ha sempre conosciuto la non contraddizione tra gli aspetti pur sfrenatamente dionisiaci dell’esperienza religiosa e quelli più elevatamente spirituali. Il che significa che l’ascesa filosofica ricalca alla fine proprio questa non contraddizione
Ebbene, proprio in relazione a tale ultimo aspetto, va tenuto conto anche della complessiva critica fatta dal Graves a tutto questo[21]. Egli accusava infatti proprio lo spirito filosofico della cultura greca di aver coartato completamente i tratti di un’esperienza religiosa originaria[22]. Che per lui aveva invece il suo valore di per sé, e che quindi non necessitava di alcuna correzione. Non possiamo però soffermarci su questo. Fatto sta che la complessità polimorfa, ed in un certo senso anche debitamente disinibita (quanto alle esigenze di un troppo angusto moralismo), di tale complessiva dimensione di prassi e pensiero, dovette essere presente ancora nella sua interezza entro la riflessione neoplatonico-pagana che abbiamo prima menzionato. E proprio così essa si presenta presso quel Porfirio che da un lato si ingegna di difendersi dalle così pressanti accuse degli intellettuali cristiani (ormai estremamente agguerriti) e dall’altro lato sembra anche letteralmente condizionato dalle perplessità indotte in lui da tale polemica. E ciò senz’altro anche a fronte da un lato della necessità urgentissima della religione pagana di organizzarsi in una Chiesa (cioè in una ben definita Teologia) e dall’altro lato dalle esigenze tematiche poste da quel Cristianesimo ormai già decisamente trionfante. Era infatti ormai decisamente quest’ultimo il vincitore storico, e quindi quello, tra i due contendenti, che sceglieva il campo di battaglia e prendeva l’iniziativa. Per essere dall’altro solo seguito.
E qui assume allora importanza primaria il ruolo (preparatorio ma anche unificante) affidato a quella “teurgia” entro la prospettiva di un’ascesa filosofica che punta decisamente a raggiungere Dio stesso per penetrarlo intellettualmente – essa è pertanto una vera e propria ascesi e quindi è mistica in senso molto prossimo alle religioni moralistiche[23]. Ma la teurgia è in sé comunque estremamente prossima al vissuto immanente del divino, e quindi alla sua manifestazione nella carne così come nella storia – e ciò fino agli aspetti inquietanti ed imbarazzanti che abbiamo prima accennato. Si può insomma presumere che essa sviluppi sul piano appena orizzontale ed immanente una consapevolezza metafisico-religiosa che conserva però solo sul piano trascendente (in alto e nella prospettiva verticale) la sua vera integrità. Ebbene, una parte delle tesi filosofico-neoplatoniche rispetto a tale aspetto (Giamblico)[24] prevede invece un vero e proprio procedere parallelo di teurgia e filosofia. Qui la teurgia non viene vista allora come l’amministrazione meramente in orizzontale della realtà divina, ma invece in primo luogo come una via di tipo verticale costantemente aperta (e di direzione bilaterale) tra l’umano-terreno ed il divino. E bisogna dire che è stato proprio sulle tracce di tale interpretazione che si è mossa molto tempo dopo tutta una prospettiva di moderno pensiero metafisico-religioso incentrato sulla prassi teurgica e di cui ultimamente Evola[25] ci ha disegnato gli specifici tratti ermetico-alchemici. Dove poi ciò che qui domina è l’aspirazione dell’uomo a sopravanzare Dio stesso nella sua divinità. Siamo però con ciò appena nel contesto di un moderno Titanismo del tutto iconoclastico. Il quale, se afferma di voler recuperare tutta la tradizione metafisico-religiosa effettivamente oppressa dal Cristianesimo, in verità si muove in senso decisamente deicida e quindi anti-religioso. Non a caso il brodo di cultura in cui è maturato tutto questo è stato quel così controverso movimento della “rivoluzione conservatrice”[26] entro il quale è insorto poi di fatto l’intero nucleo di idee antimetafisiche che Heidegger (sviluppando così Nietzsche) faceva assurgere alla dignità di quel moderno paradigma dogmatico di pensiero. Per il quale l’intera metafisica è quanto di più spregevole l’uomo abbia mai conosciuto[27]. E ciò con l’aggravante di costituire perfino un’estremamente moderna versione, ormai solo de-costruttiva (cioè distruttiva) ed apertamente rivoluzionaria, del tradizionale pensiero esoterico, escatologico e tendenzialmente neo-pagano[28]. Ed è esattamente su questa base che oggi buona parte della Filosofia accademica celebra il culto di Heidegger. Sta di fatto che comunque non pochi aspetti della riflessione più esoterica (quanto anche anti-semita) del pensatore tedesco[29] si sposano apparentemente in modo perfetto con quella metafisica religiosa tradizionale che, se interpretata con spirito anti-religioso, può ben fungere da base per un moderno neo-paganesimo titanista e demonico. Che è poi di stampo tanto dionisiaco quanto anche shivaita. Emblematico è l’intendimento heideggeriano dello spirito come “fuoco” distruttivo, che trova una precisa eco nel culto di Śiva – qui il fallo divino sempre eretto (fremente distruttore e creatore) è appunto una “colonna di fuoco”[30].
Ebbene, Porfirio risente fortemente delle perplessità qui accennate (e quindi in qualche modo legittime). Come ci mostra il Girgenti, infatti, già nel suo De regressu animae ( DRA) egli si chiede se la teurgia non vada considerata appena come un primo passo dell’ascesi filosofica a Dio[31] e quindi appunto un’esperienza solo basilare. Dunque una mera amministrazione orizzontale del divino. O tutt’al più una mera prassi preparatoria, che può pertanto sì elevarsi (inarcandosi verso l’alto con il maggiore sforzo possibile) ma solo di pochissimo. Tutto il resto deve invece farlo la filosofia. E proprio qui di delinea un punto di insanabile contrasto con Agostino : – per lui infatti la filosofia (per quanto strenuamente metafisica) non ha affatto questo potere! Ma qui si delinea anche già la possibile estensibilità del concetto di intima relazione tra Rivelazione (Fede) e Filosofia (Ragione)[32] che si sviluppò poi in tutto il pensiero platonico-cristiano ma che trova evidentemente proprio qui le sue premesse.
Ancora più importante ci sembra comunque l’opera di Porfirio dal titolo Filosofia rivelata dagli oracoli (FRDO). Dalla quale pare che lo stesso Agostino, assetato di Dio già prima della conversione, apprendesse la teologia mistica[33]. In quest’opera viene teorizzata una purificazione dal sensibile (katharsis), da ottenersi proprio per mezzo degli oracoli divini (teurgia), grazie alla quale poi elevarsi all’ascesi filosofica (theoria). Ma si tratta proprio del senso pieno del termine “theoria”, e cioè quello di “visione” (non a caso poi illustrato dallo stesso Agostino più volte nel De Trinitate). Dunque si tratta di una CIAD che è contemplazione di Dio nell’unione a Lui. Non a caso Porfirio ritiene che sia essenziale in questo una vera e propria “apparizione” (“epiphaneia”) di Dio al filosofo. Ed è da notare bene che qui il distacco dal sensibile come carne è ancora più intenso che non nel Cristianesimo – dato che in tale contesto non vi è alcuna traccia di un Dio vivo. Ed infine Porfirio, nel suo Gli oracoli della Teosofia[34] ci offre un fondamentale elemento per la CIAD, e cioè quello di una conoscenza che è del tutto al di sopra della stessa intellettualità. Essa è “agnosia”, ovvero «non-conoscenza». Sarebbe però più corretto parlare di «iper-conoscenza»[35]. Un’idea comunque del tutto contraria a quella della Gnosi. Gli studiosi pensano che proprio con quest’idea, si arresti entro il neoplatonismo il misticismo speculativo (che da Platone procedeva fino a Plotino e Porfirio) ed inizi invece, da Giamblico in poi, il misticismo fideistico, ovvero pienamente teurgico. E quest’ultimo si pronuncia però poi esattamente come Agostino : – l’Uno divino è del tutto inaccessibile, e pertanto è accessibile solo con la fede. In ogni caso va considerato che lo stesso Porfirio introduce una notevole deriva teurgica al così rigoroso intellettualismo di Plotino[36]. Anzi l’altro commentatore dei testi porfiriani, il Muscolino[37], parla a tale proposito di una vera e propria degenerazione del neoplatonismo nel senso di una magia stregonesca.
Un ulteriore importante punto di riferimento emerge anche laddove il Girgenti menziona le radici platoniche della prospettiva sviluppata da Porfirio[38]. E particolarmente quella figura del Daimon che è centrale nel senso di costituire un intermedio tra uomo e Dio. Per mezzo del quale si prende dunque atto proprio del fatto che in via di principio la CIAD non è affatto alla portata del primo. Per cui l’ascesa può essere intesa solo come il riconoscimento nel profondo dell’uomo di ciò che in lui è essenzialmente divino. Il che è poi la ricerca della propria profonda identità profonda alla quale il Daimon ci guida. È esattamente in questi termini e con questo senso che il Viola[39] ci illustra il cammino per mezzo del quale il Daimon, o Dio immanente, ci riconduce al Genius quale Dio trascendente. Ma di tutto questo si trova una traccia tangibilissima nel pensiero di Agostino.
Sta di fatto che, come posto il luce dal Muscolino[40], con Porfirio si affaccia la realtà di quella “teosofia” che introduce un elemento davvero significativo, e cioè quello della Rivelazione della Sapienza divina. E tuttavia la teosofia non chiude affatto il discorso su tutto questo. Dato che con essa va sì intesa la rivelazione concessa da Dio ma anche la scienza di tale rivelazione (sebbene Dio resti inconoscibile). Si lasciano intravvedere proprio qui una serie di significati che nel Cristianesimo sono restati del tutto occultati (e che peraltro in Agostino riemergono qua è là)
In particolare il concetto della connessione di ininterrotta continuità esistente tra Dio, come Causa del tutto sconosciuta (dalla quale procede la Sapienza come ineffabile Rivelazione). Ma anche il concetto del mondo come sua fattiva Rivelazione. Non nell’esteriore però, bensì nel più puro e nascosto interiore di ogni cosa (uomo incluso) ; laddove Dio stesso è presente nuclearmente come Spirito impregnante ogni cosa. La “Sophia” è dunque proprio questo, di fatto una scienza occulta della Natura, rivelante un mondo di presenze divine statiche e dinamiche. La dottrina di Proclo poi svilupperà particolarmente la così compatta ed inesorabile connessione di cause ed effetti, ripercorribile continuamente a ritroso sulla via dell’intelligibile[41]
Infine conviene lasciar parlare alcuni punti dei testi stessi di Porfirio. Che però purtroppo conosciamo quasi solo attraverso il commento critico degli apologeti cristiani, tra i quali appunto Agostino. A proposito del DRA[42] l’Ipponate stesso (specie nel suo De Civitate Dei) svaluta totalmente la prassi e la teoria della teurgia, considerandola poco più che un’abusiva elevazione di demoniche e spregevoli divinità della natura (p. 51-59). Cosa che per lui destituisce poi completamente di fondamento la pretesa natura religiosa di un’ascesa, che è filosofica solo nel senso che essa si occupa appena di fenomeni naturali. Eppure invece proprio qui si fa sentire l’effetto costruttivo delle perplessità nutrite da Porfirio. Dato che egli istituisce una netta differenza tra il soffermarsi volgare e di massa sulla sola teurgia (che rischia di essere effettivamente solo vizioso e turpe) ed invece l’elevarsi per il suo tramite. La purificazione per via teurgica può infatti toccare appena l’anima “pneumatica” (ovvero “sensitiva”) ma non invece l’anima “razionale”. Quest’ultima in verità non ha alcun bisogno di purificazione. Si tratta insomma della chiara segregazione esistente tra un’ascesa filosofica solo falsa (che resta nei limiti di un fideismo superstizioso) ed un’ascesa filosofica invece davvero autentica.
In realtà, come lo stesso Agostino ci mostra, Porfirio pensa all’anima razionale come alla sola che sia in grado di pervenire alla CIAD (p. 69-73). E ciò su una base ontologica che è poi quella solita della divisione dell’anima in livelli. Ma che è anche antropologica nel senso di gradi gerarchici evidenzianti uno vero e proprio stato elettivo. Solo gli eletti sono infatti in possesso dell’anima razionale e solo ad essi è pertanto riservato l’accesso intellettivo a Dio. e questi eletti sono “i filosofi”. Un concetto, questo, che il Cristianesimo si è sempre rifiutato di accettare. Rifiuto del quale troviamo traccia nella polemica del Viola[43] proprio contro il personalismo di stampo agostiniano. Il quale pretenderebbe secondo lui di affermare un concetto incondizionato ed indifferenziato del valore dell’individuo quale “persona”. Ebbene, Agostino nel suo commento a Porfirio si schiera proprio in questo modo (definendolo peraltro “falso filosofo”). Più precisamente egli invoca l’intervento della Grazia in una prospettiva insostenibile senza concepire le due realtà congiunte dell’Incarnazione e della Resurrezione.
Nella FRDO poi (commentata prevalentemente da Eusebio) emerge l’esposizione da parte di Porfirio di un vero e proprio concetto di Rivelazione pagana[44]. Egli prende infatti a riferimento della sua riflessione filosofica una grande serie di scritti (oracolari) di Tradizioni metafisico-religiose, e cioè quelle di vari popoli (romani, greci, egizi, caldei, ebrei…), che egli definisce anche come “popoli eletti” (303F-304F p. 87-91). Ed egli dà a tutto questo il nome di “loghion”, riferendosi così ad una teologia di ispirazione divina. Ma comunque egli precisa anche che si tratta di una “teosofia”, e come tale da proteggere nella sue segretezza esoterica con un rigorosissimo impegno. E proprio qui emerge nuovamente il significato specificamente esoterico di ciò che è “mysterion”, in quanto Verità divina destinata ad essere rivelata. Rivelata, evidentemente, solo agli iniziati.
Più avanti (343 F-346F, p. 147-159) nell’esposizione del testo commentato emerge poi il fatto che Porfirio sottolinea fortemente la dimensione morale dell’ascesa filosofica. Entro la quale emerge poi la fondamentale importanza della fede. Si tratterebbe pertanto di una via non solo epoptica (iniziatica) ma anche mistica. E ciò riproporrebbe la messa in guardia di Plotino circa l’eccessiva facilità nel concepire l’approssimazione al divino. Ma qui si parla anche addirittura di “preghiera”. Ed il commentatore avvalora perfino l’ipotesi che Porfirio alluda qui addirittura alla persona di Gesù Cristo. Il che lascia poi pensare al sussistere effettivo presso lo stesso pensatore di un’intenzione di superare la contrapposizione tra Paganesimo e Cristianesimo.
Infine c’è da registrare quanto emerge in uno scritto che compare in appendice rispetto alla FRDO, e cioè il testo dal titolo Dalla Teosofia di un anonimo Monofisita (1-5a p. 169-179). Qui è all’opera la metafisica teologica caldaica stessa, che non fa altro che darci di Dio una raffigurazione sublimemente apofatica. Quello che viene raffigurato è pertanto il Dio trascendente stesso, che poi viene narrato da Apollo quale suo oracolo. Alla fine però emerge che il discorso verte su Apollo stesso come Dio vivo ed immanente. Ccioè come un “dio che soffre, ma non soffre la sua natura divina”, che condivide la natura umana e quella divina e quindi è “anche uomo” – ovvero Cristo stesso. Egli non è altro che il Figlio che per mezzo di sé stesso ci parla del Padre. Ebbene un testo come questo sembra mostrarci chiaramente con quale forza, decisione e coerenza la metafisica pagana tendeva a trapassare in quella cristiana. E Porfirio ci appare allora proprio come un anello di congiunzione di capitale importanza tra le due sfere di pensiero. Il riferimento proprio a lui da parte di Agostino, sebbene solo polemico e demolitorio, ci sembra pertanto estremamente significativo proprio nel senso della tesi che qui sosteniamo.
II- La CIAD presso Agostino.
E veniamo ora al De Trinitate di Agostino, per il quale procederemo ad un’esposizione ordinata secondo la successione dei quindici libri in cui l’opera si divide. Ma prima di entrare le merito del testo, bisogna dire che un pensatore che era stato così intellettualmente intimo a Porfirio ed al neoplatonismo non può essere preso in considerazione solo per le posizioni polemiche assunte a partire dalla sua conversione in poi. Bisogna insomma tener presente che una sostanziosa parte della dottrina criticata da apologeta deve essere stata da lui anche assorbita e perfino condivisa. E questo può spiegare le così tante suggestioni che vedremo emergere nel testo nel senso di una larvata apertura alla possibilità di una CIAD.
Nel primo libro[45] il pensatore attacca direttamente il concetto gnostico di CIAD definendolo come appena vano quanto vuoto orgoglio. Dato che l’uomo può solo limitarsi a desiderare Dio nella fede, affidandosi peraltro al vissuto di Lui per mezzo del Figlio. E tuttavia egli porta in primo piano anche l’esigenza esoterica affermando che la stessa reticenza della Scrittura riguardo alla natura di Dio (con rarissime eccezioni, quali l’”Io sono” dell’Esodo) rinvia ad un’assolutamente primaria dimensione teologico-negativa della CIAD. Che va poi intesa nel senso più affermativo della negatività, dato che essa segna la sfera di conoscenza che è del tutto inaccessibile all’intelletto umano. Considerando invece la negatività in un altro senso – e cioè come indicazione di una sfera nella quale l’intelletto si muoverebbe in senso sì «negativo» ma comunque pieno –, non si farebbe altro che consentire il tradimento di Dio quale oggetto di conoscenza. Il rinvio alla dimensione esoterica viene qui comunque completato dal richiamo all’Apostolo Paolo. Quale esempio di un “uomo spirituale” che è senz’altro più prossimo alla CIAD di quello medio. Ci sembra quindi evidente che la sua negazione della dimensione elettiva della CIAD non è poi così totale.
Nel secondo libro[46] persiste questo sia pur larvato rinvio all’elettività della CIAD. Sebbene sempre insistendo sul presupposto indispensabile di uno stato ontologico che è solo ultra-terreno e post-mortale. Inoltre Agostino sottolinea qui anche la necessità assoluta della rinuncia a sé stessi quali esseri pensanti, per sottomettersi invece sempre alla Scrittura (nonostante quelle sue “ambiguità” che comunque mettono così a dura prova la fede). E tuttavia, nonostante questo pressante richiamo alla passività, il rinvio all’elezione si riconferma attraverso la menzione esplicita dell’attività implicata nella CIAD (il suo contrario è infatti solo “pigrizia”). Attività che poi caratterizza lo stato ontologico pre-mortale della CIAD. E cioè quello vissuto dal fedele per l’intermediazione del Figlio (Dio immanente), da intendere a sua volta come l’operare dello stesso Padre (Dio trascendente). E tuttavia la complessiva «azione passiva» qui configurata (equivalente all’affidarsi totalmente al Cristo) mette alla fine comunque capo alla comprensione di quella realtà divina trinitaria che è poi l’incomprensibile stesso. Qui si discute non a caso proprio del Figlio quale “mandato” – in quanto Egli non solo è Colui che manda sè stesso ma è anche ciò verso cui viene mandato, ovvero il mondo o essere nella sua estensione orizzontale. La sua intermediazione chiama quindi in causa quell’Essere senza il quale la conoscenza di Dio è impossibile. Ma si tratta di un sublime Essere totale, che pone in continuità (in verticale) il livello ontologico divino (esplorabile solo in modo iper-razionale) con il livello ontologico terreno-umano che comunque è qui pressantemente chiamato alla conoscenza. L’accento posto pertanto sullo stato ontologico non indica solo ciò che ci sarà solo nella vita ultraterrena (ma ora non c’è), bensì indica anche quello jato tra determinato ed Indeterminato che chiede di essere superato. E così perdono non poco di spessore tutte le accuse dell’apologetica cristiana a quell’ascesa filosofica che propria a tale così sublime continuità verticale si appellava. Proprio qui ci appare dunque evidente quanto iper-razionale ed esoterico fosse il concetto dell’ascesa filosofica a Dio, e quanto ingiustificato sia stato liquidarlo come una volgare e vanagloriosa ingenuità. Dato però che chi ha fatto questo sono stati pensatori ai quali ciò non poteva sfuggire, è evidente che si è trattato solo di un espediente apologetico.
Ma Agostino nel quarto libro[47] sente comunque l’esigenza di demolire la prospettiva filosofica come muoventesi esclusivamente sul piano naturale ed esteriore. E ci richiama pertanto ad una conoscenza pienamente interiore, che è poi quella del “conosci te stesso”. Qui poi la differenza rispetto alla prospettiva dell’imperativo delfico (pagano) sta nel fatto che, nel suo intendimento agostiniano, il ritrovamento della propria identità è scoperta di una debolezza e non di una potenza. Ma di nuovo è la sublime ontologia del Figlio quella che qui offre sé stessa come intermedio – e precisamente attraverso la sua valenza di Dio presente interiormente nella forma di una potenza conoscitiva, quella animico-razionale. L’indicazione è quella di una via interiore alla vera dimensione ontologica, e questa è chiaramente quella del Ritorno. Per cui, se qui Agostino condanna di nuovo la filosofia (in quanto non fa riferimento alla Rivelazione), tuttavia anche distingue in essa la parte (platonica) pregevole in quanto tiene presente il Ritorno. E qui menziona peraltro espressamente il Platone del Timeo. In ogni caso decisiva appare essere quella dimensione ontologico-morale in assenza della quale l’ascesa filosofica resta nei fatti solo freddamente teoretica. Ma qui, insieme all’usuale sottolineatura dell’elemento della fede (quale immanenza temporale dell’esperienza di Dio), emerge anche decisamente quell’elemento dell’eternità che costituisce poi l’orizzonte sovra-temporale trascendente e sovrannaturale. E così ci sembra che sia chiaramente indicata almeno (nella sua effettiva apertura) la prospettiva della CIAD.
Il che è ancora più significativo se si tiene conto del fatto che nel quinto libro[48] Agostino fa una davvero significativa distinzione rispetto alla dimensione esoterica della CIAD. In quanto afferma che Dio può essere anche pensato, ma di certo non può essere detto. Non viene però precisato se tale difficoltà sia dovuta ad un’incapacità oppure ad un’impossibilità. Laddove in quest’ultimo caso si dovrebbe pensare al segreto esoterico da osservare circa la realtà divina. Del resto il pensatore sottolinea qui nuovamente l’umiltà umana come caratteristica dello stato ontologico per mezzo del quale esso si approssima a Dio. E ciò viene giustificato con la non parità dell’intelletto umano con l’intelletto divino. Anche qui resta comunque però aperta la questione se tale incapacità sia dell’uomo totale, o invece sia limitata alla sua condizione media.
Nel settimo libro[49] viene condotta un’argomentazione che non ci interessa direttamente. Ma essa, introducendo il tema della differenza tra essenza, persona e sostanza (entro la realtà trinitaria) – che poi sarà trattato più diffusamente dopo – sottolinea comunque la necessità di una conoscenza del tutto iper-razionale della realtà divina. Nel nono libro[50] comunque cade poi un accenno piuttosto suggestivo alla possibilità che tale conoscenza venga effettivamente perseguita. Qui infatti il pensatore afferma che comunque noi “cerchiamo la Trinità”, ovvero aspiriamo a conoscere Dio. Sebbene ciò non sia affatto impossibile, bensì comunque “difficilissimo”. Le argomentazioni usate per questo sono quelle già menzionate, eppure sembrerebbe qui che quell’incapacità costituzionale prima attribuita all’intelletto umano non venga poi considerata come assoluta ed omni-valente. Peraltro qui si parla della necessità di preferire l’essere conosciuti da Dio piuttosto che conoscerlo. Ed a ciò viene aggiunto che siamo costretti ad invocare il suo “aiuto” per poter assurgere a quella condizione di “faccia a faccia” («visio beatifica») senza al quale la CIAD è davvero impossibile. Ora si può davvero pensare che, nel caso di un oggetto conoscitivo quale è Dio, la dimensione passiva della conoscenza (nella quale l’uomo è ridotto al Suo cospetto) revochi davvero ogni conoscenza in assoluto? Come se Agostino stesso dice che l’intelletto umano è nulla rispetto a quello divino? Non è invece ben più probabile che, in questo «essere conosciuti da Dio», si intenda una conoscenza umana che viene potenziata proprio in quanto trascesa ed abbracciata?
In realtà la richiesta di aiuto deve venire, dice il pensatore, “proprio da colui che vogliamo comprendere”. Quali che siano le condizioni ontologiche effettive in cui la CIAD può effettivamente avvenire, sta di fatto, pertanto, che con essa va comunque intesa una pienezza di conoscenza. Ma allora il credo quia intelligam al quale qui ci si riferisce può anche significare che noi (almeno tendenzialmente) vogliamo anche comprendere anche ciò in cui intanto crediamo. E forse che l’assoluta non ordinarietà dell’atto di ascesi filosofica (che abbiamo visto affermato con tanta cura da Porfirio) non prende atto proprio di questo? Ovvero di una prospettiva sempre solo tendenziale e dal risultato aperto. Del resto nessuno ha mai detto che la stessa ascesi iniziatica fosse sempre destinata ad essere coronata da sicuro successo.
In ogni caso ne prosieguo di tale discorso Agostino sviluppa la sua ben nota dottrina di quell’auto-conoscenza animica che è caratterizzata anche dall’auto-erotismo. Non entreremo qui nel merito di tale discorso perché esso è estremamente complesso e ci porterebbe fuori tema. Comunque va detto che emergono qui come decisivi gli elementi della spiritualità incorporea caratterizzante una realtà la cui sostanza unitaria va definita come “essenza”, e quindi rimanda continuamente ad una relazione tra termini che è sempre auto-riflessiva. Dunque è insieme sempre Conoscenza ed Essere. In tale contesto si configura quindi una conoscenza strenuamente interiore che riporta decisamente la spiritualità umana a quelle dimensioni dell’eterno (immortale) e del trascendente che in sé sono solo divine. E ciò riduce decisamente la prospettiva epistemologica ed immanente dell’anima conoscente (così com’è stata colta in Agostino dalla filosofia moderna) ad una prospettiva nello stesso tempo anche ontologica, il cui supremo termine è il vero Soggetto, e cioè Dio stesso. E qui decisamente ritorniamo alla CIAD, che risulta fortemente sottolineata in una prospettiva così strenuamente spirituale-interiore, entro la quale la dimensione erotica (desiderio) sfugge completamente a cogenze esteriori e sensibili. A tale proposito si parla non a caso di conoscenza di un vero che è solo trascendente. E questo è un oggetto del tutto sovrannaturale e trascendente di conoscenza. Non solo però, perché secondo Agostino si profila dall’altro lato (quello umano) quella “razionalità” che è poi il vero nucleo e baricentro dell’intera dimensione animico-conoscitiva. È infatti proprio in essa che sboccia quella “parola interiore”, che poi è in ininterrotta connessione con la Parola sublime ; ovvero quella che è Logos proprio nel senso che per suo mezzo tutte le cose sono state create. Ecco allora che alla razionalità umana viene concessa la potenzialità assoluta di esistere solo per conoscere proprio la verità nella sua trascendenza. Proprio in questi termini si parla di una vera e propria “nascita” in essa della parola interiore. Con essa però non si tratta affatto di un “parto”, ovvero generazione immanente. Il fenomeno non conosce infatti alcun condizionamento naturale. Qui invece si realizza quell’estrema similitudine con l’oggetto di conoscenza (Dio) che poi, realizzando il culmine stesso della dimensione auto-erotica dell’auto-conoscenza, assimila di fatto quest’ultima alla possibilità piena della CIAD. Ecco allora che (data anche la natura strenuamente morale di tale conoscenza) con l’auto-conoscenza si tratta del raggiungere il culmine qualitativo immanente stesso delle proprie potenzialità. Ma questa è solo una stazione intermedia, su una via che incontestabilmente ha proprio la CIAD come sua stazione davvero ultima. Ecco dunque che nuovamente la CIAD viene considerata nella sua non solo possibilità ma addirittura indispensabilità. Essa deve almeno essere concepita come orizzonte della conoscenza nella sua vera integralità.
Nel decimo libro[51] Agostino sviluppa ulteriormente il discorso fatto prima ponendo in luce il vero e proprio mistero della potenza conoscitiva propria della razionalità animica. Ed egli conduce qui il discorso in un modo che richiama molto da vicino l’intera riflessione di Platone sul rapporto tra la conoscenza animica ed una scienza del tutto previa (quindi solo trascendente) nella quale soltanto è attingibile l’autentica Verità. E quindi è in realtà sapienza. Non a caso tutta la riflessione agostiniana sulla dimensione erotica di tale conoscenza risulta riportabile fortemente alla dottrina esposta nel Simposio e che verte sulla ricerca della proprio profonda e misteriosa identità. Nascosta proprio nell’anima. È dunque in questi termini che giunge a compimento qui quella riflessione dell’Ipponate sul “conosci te stesso” che è poi di per sé fortemente platonica – ciò specificamente nel senso del richiamo all’interiore ed all’eterno quale assoluti valori. E che quindi riconduce ad una fondamentale moralità di tale atto che non è affatto solo cristiana
Nel dodicesimo libro poi Agostino riporta l’intero discorso alla realtà di quell’”uomo interiore” nel quale sembrano convergere la sua complessiva dottrina dell’imago dei (che solo in esso trova pienezza). Ed inoltre quella, di forte impronta plotiniana, della parte superiore dell’anima nella sua così forte relazione di appartenenza all’Intelletto divino. È già così evidente che la conoscenza deve essere così intesa come elevazione. È pertanto in tale contesto che la prospettiva della CIAD riemerge proprio nei termini della relazione esistenza tra la “scienza”, solo materiale corporale e sensibile (cioè immanente ed esteriore), e la “sapienza”. Che è invece solo trascendente perché concerne solo l’eterno. Come tale essa è solo contemplativa e non invece speculativa sul piano naturale. Nonostante le consuete prudenze, a tale proposito emerge comunque qui di nuovo (sempre per mezzo di Paolo) il tema dell’elettività della conoscenza – laddove lo Spirito stesso viene qui chiamato in causa come Colui che pone in tale condizione. Ma tutto ciò viene affermato nel contesto di un’estremamente significativa precisazione circa la prospettiva della CIAD. Essa viene dichiarata essere infatti ricerca infinita. Come in quel “culto di Dio” (“theosébeia”), o anche “devozione”, nel quale la dimensione erotica trova una sua definizione specifica. Ed a proposito di questo termine va decisamente il concetto shivaitico di “Bhairava”[52], che è devozione n quanto “realizzazione meditativa”, ovvero fulminea intuizione intellettuale nella quale ogni dispersione mentale si dissolve e si raggiunge così il massimo della potenza conoscitiva (quella che tutti più o meno conosciamo nel fenomeno dell’assorbimento intellettuale). Nel pensiero di Agostino si tratta comunque ancora una volta dell’accento posto sul presupposto dello stato ontologico. E se qui parliamo chiaramente di una condizione terrena e pre-mortale, tuttavia l’elemento primario non è questo bensì invece quello della straordinaria intensità dell’esperienza. Si tratta insomma con ciò di un paradigma massimo di conoscenza. Del quale poi la metafisica integrale (Viola)[53] parla – ma senza alcuna preclusione moralistica rispetto ad una CIAD tutta terrena –, a proposito di quel Principio divino da conoscere quale Identità assolutamente sovra-essenziale (al di sopra anche del Primo Ente). Ed in questo caso si tratta comunque della pienezza di un’esperienza intellettuale. Ebbene allora, il dire chi, come, quando e dove se ne può fare (o meno) protagonista non ci sembra che intacchi molto quest’ultimo aspetto. Che è da considerare quello davvero fondamentale.
Con ciò giungiamo al quattordicesimo libro[54] nel quale Agostino dichiara definitivamente che la Sapienza è Essere prima ancora che Conoscenza. Mentre tutto il resto semplicemente non è sapienza : – né la fede (come amore di Dio) né la “filo-sofia” (come amore della sapienza). Entrambe sono solo ricerca e non invece sapienza. Ciononostante egli però non nega a tale proposito la legittimità del pensare. Che è però da considerare non come sapienza bensì come un semplice “discutere la sapienza”. È la chiara indicazione di un limite. Ma anche di una prospettiva, che è quella propria della “scienza delle cose umane e divine”. La ricerca si muove pertanto tra questi due termini. Pertanto quella fede che è ricerca resta di certo nella sfera terrena caratterizzata dall’”esilio”. Ma è anche ciò si muove verso l’eternità e non verso le cose terrene. L’antidoto a tale impotenza consiste però ancora una volta in quanto dell’uomo è insieme ontologico e conoscitivo, ovvero l’interiorità animica di tipo razionale. Che supera pertanto la stessa fede, e lo fa mettendo capo ad una forma di conoscenza ben superiore (in quanto trascendente il tempo e lo spazio), che è poi la contemplazione dell’eternità. In questo l’anima è senz’altro ben più che mente. Qui insomma la razionalità sfocia decisamente nella contemplazione, e con ciò in un piano di essere decisamente trascendente.
Ci sembra che il passo dal parlare di una conoscenza intellettuale dell’Assoluto divino (CIAD) sia qui davvero molto breve. Insomma, a conclusione del suo intero discorso, Agostino sembra pronunciarsi qui davvero per la possibilità della CIAD. Il solo limite al quale egli la sottopone è pertanto quello che abbiamo già visto, e cioè quello di un non-pienezza di uno stato conoscitivo per il quale davvero non è detto che l’uomo funga da misura. Qui si tratta della sua attualità
in uno stato che non può essere definito in termini piattamente spazio-temporali[55]. E diremmo che proprio qui sta allora la chiave sia del concetto di CIAD sia della prossimità ad esso da parte di Agostino.
È insomma del tutto vero che va ammesso che la CIAD è irrimediabilmente lontana dalla nostra condizione terrena. Ma ciò non vuol dire affatto che tale lontananza non possa essere trascesa una volta trasceso lo spazio-tempo.
Conclusioni :
Pailiina Remes[56] mostra come la relazione tra neoplatonismo pagano e Cristianesimo abbia costellato di fatto sia la nascita che la vita del primo. E precisamente essendo all’inizio caratterizzato da una convivenza del tutto pacifica. Solo l’epilogo è stato conflittuale e perfino cruento, con la chiusura nel VI secolo della scuola di Atene e l’assassinio di Ipazia per mano cristiana (vescovo Cirillo e turbe scalmanate di proletari). Il che significa che molto probabilmente lo stato naturale delle cose è proprio quello della pacifica convivenza. Peraltro bisogna notare anche (sempre sulla base della Remes) che il neoplatonismo nasce senz’altro pagano, ma poi, nonostante questi tristi eventi, si trasfonde completamente nel pensiero cristiano. Con la nascita in tal modo di quel neoplatonismo cristiano che è poi la testimonianza vivente e storica della possibilità di convivenza tra lo spirito intellettuale-religioso pagano e quello cristiano. Però non senza che i motivi del dissidio si perpetuino comunque nel senso stesso del pensiero cristiano. Con il fatto che il platonismo non solo non ha in esso mai prevalso ma inoltre è anche stato sempre considerato con molto sospetto se non antipatia. E ciò poi con l’ovvia conseguenza che molti pensatori neoplatonico-cristiani sono andati molto vicini al rogo o almeno al ludibrio ufficiale (Origene, Dionigi, Scoto Eriugena, Eckhart, Bruno…).
Ma comunque va preso atto del fatto che chi è stato maggiormente interessato al dissidio è stato proprio il Cristianesimo. Anche se con l’imperatore Giuliano vi fu un movimento contrario e non poco influenzato proprio dalla teologia di stampo neoplatonico. Ma si trattò appena di una parentesi della storia. Chi semina vento, però, non può che raccogliere tempesta. Ed ecco allora l’inevitabile svilupparsi progressivo di un movimento di idee del tutto contrario. Nutritosi per lunghi secoli delle linfe di dottrine occulte non solo di per sé ma anche per il rischio di persecuzione cui erano continuamente esposte (gnosi, ermetismo alchemico…), esso è poi esploso e fiorito tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Con uno scenario estremamente vario e composito di idee ed intenti. Troppo per essere qui sintetizzato. Di questo movimento di idee ci interessa in particolare la parte più positiva e costruttiva (in quanto affatto iconoclastica), cioè la corrente di studi che abbiamo già menzionato (con le sue principali voci) nella definizione di ciò che “Scienza sacra” (o anche “metafisica integrale”). Ebbene proprio in tal contesto la dottrina metafisica pagana greco-romana (in gran parte neoplatonica) veniva ripresa in forte considerazione. E con ciò si sviluppava comunque (e non senza ragione) un atteggiamento decisamente anti-cristiano e pro-pagano. Del quale può essere considerato significativo rappresentante quel Viola che da noi è poi considerato obbligatorio punto di riferimento dottrinario nell’esplorazione del neoplatonismo pagano connesso alla metafisica integrale. Ebbene la sua polemica anti-cristiana ha appunto moltissime e fondatissime ragioni. La prima della quali può però essere considerata proprio la mancata giustificazione della polemica anti-pagana da sempre sviluppata dal Cristianesimo. La cui così piatta se non volgare virulenza si può constatare proprio nelle critiche ad un pensatore come Porfirio, così come espresse da ingegni davvero notevoli (come Agostino).
Ora, a noi personalmente sembra che tutto ciò non ci fa procedere di un solo passo entro quello scenario della Modernità il cui fenomeno prevalente è proprio l’atto violento, ormai irreversibile, dell’annientamento di tutto ciò che è “metafisica”[57]. In primo luogo se essa è religiosa, e specialmente in modo davvero strenuo (in quanto decisamente iper-razionale, spiritualista ed interiorista). Come avviene appunto nell’intero neoplatonismo – cristiano o pagano che sia. Crediamo che sia dunque giunto il momento di archiviare ogni dissidio. Così che, almeno nel contesto della metafisica più autenticamente religiosa, cioè quella neoplatonica, è decisamente giunto il momento di cercare i motivi di convergenza e non più quelli di conflitto tra Paganesimo e Cristianesimo. Ebbene, tali motivi sono evidenti nell’opera di pensatori neoplatonico-cristiani (come appunto Origene, Dionigi, Eriugena ed Eckhart) presso i quali la continuità tra neoplatonismo pagano e cristiano è più evidente[58]. E ciò senz’altro per la decisiva intermediazione del neoplatonismo cristiano greco, e cioè quello della Patristica greca (Basilio, Massimo, Gregorio di Nissa, Gregorio da Nazanzio, Nemesio). Ma abbiamo anche visto in Porfirio che ciò trova una precisa eco anche dal lato pagano.
Ed è esattamente su tale aspetto che questo articolo intende focalizzare l’attenzione degli studiosi e dei lettori. In particolare però di coloro ai quali sta a cuore la sopravvivenza storica di una metafisica religiosa – per quanto in una nicchia isolata dalla moderna devastazione.
Ma un ultimissimo argomento va aggiunto a tutto ciò. E questa volta abbastanza sbilanciato verso la sfera cristiana del pensiero metafisico. Ma siccome il tema della CIAD ha rappresentato il nostro principale punto di vista in questo articolo, vedremo subito che il nostro argomento rientra benissimo anche nella sfera pagana dello stesso pensiero. In realtà (come peraltro supportato dal significato primario del termine “mistico”, e cioè quello relativo al “mysterion”) la mistica è per definizione una, e non conosce pertanto, almeno in via di principio, alcuna differenziazione confessionale. Ciò già storicamente – come mostrato dalla così forte tendenziale convergenza della mistica pagana con quella cristiana (come si presentava nel pieno dell’era neoplatonica) e come mostrato anche dal fatto che l’intera mistica cristiana (specie nella sua così strenua fase del XVI secolo presso i suoi pensatori ispanici) sconfina di fatto in una metafisica religiosa in cui Paganesimo e Cristianesimo sono davvero difficilmente distinguibili[59]. Ma la cosa diviene ben più impressionante proprio quando si prende in considerazione primariamente la CIAD. La mistica è infatti (del tutto intuitivamente) l’attualità stessa più piena di quest’ultima. Pertanto tutte le prudenze adottate dai pensatori cristiani, nel pensare l’effettiva possibilità di una CIAD, recedono davanti alla vera e propria sua evidenza nell’unione mistica. Infatti, come che stiano o non stiano le cose, il mistico guarda realmente in faccia a Dio. Come è spiegabile questo da quel punto di vista (sia teologico che filosofico) che fa di tutto per considerare irrealistica tale realtà? Ed ecco allora quell’accusa di insania mentale al mistico che poi fa prestissimo ad estendersi all’intera metafisica, ed ovviamente anche all’intera esperienza religiosa. Significativo però il fatto che proprio la moderna ricerca empirista sull’esperienza religiosa[60] prenda le mosse proprio dalla profonda messa in discussione di tale accusa. E su questa base poi essa ci illustra addirittura i così coerenti meccanismi fisiologici cerebrali per mezzo dei quali l’esperienza mistica può essere descritta, compresa ed anche giustificata[61].
Con la messa in discussione dell’effettività della CIAD; siamo insomma al cospetto di una gigantesca operazione di occultamento. La quale non può che avere come protagonista quel così miope “razionalismo” (comune all’intera filosofia, alla teologia e perfino a buona parte della metafisica, sia filosofica che religiosa), il cui primario effetto, come dimostrato da Schuon, è poi proprio quello di nascondere le capacità alla portata dell’”intelletto” sotto un impiego della Ragione che è però meramente fine a sé stesso. Ebbene, in questo articolo crediamo di aver apportato un significativo argomento a questa complessiva questione. Esso parte proprio dalla doverosa ammissione che la CIAD, quando intesa in termini troppo letterali (e quindi solo pedestri), è effettivamente inammissibile. E qui avrebbe completamente ragione Agostino (Cristianesimo) ed invece completamente torto Porfirio (Paganesimo). Sta di fatto però che, accostando i due pensatori, si può iniziare finalmente a vedere che la CIAD non va affatto intesa in termini letterali. La sua piena possibilità inizia infatti a delinearsi in modo chiarissimo quando si prescinde dalla sua troppo stretta collocazione entro le categorie di giudizio che sono solo dell’immanenza, e cioè in primo luogo spazio e tempo (con il conseguente dominare di quella causalità meramente consecutiva e del fondamentale principio logico di non-contraddizione ai quali Kant ha vincolato in modo riduttivo ed inibitorio qualunque discorso metafisico). Ebbene l’esperienza mistica ci mostra proprio, ed in modo tangibile ovvero naturale (se si è disposti a credere ad essa), che esistono, nel contesto della nostra esistenza terrena, sfere di esperienza nelle quali tali categorie vengono del tutto revocate. E la sfera di esperienza propria della conoscenza dell’Assoluto divino (CIAD) rientra proprio in tali circostanze. Non a caso Schuon[62] chiarisce che l’atteggiamento conoscitivo da tenere in essa deve essere adeguato proprio a queste ultime.
Ebbene il grande apporto dato a tutto ciò dalla moderna ricerca empirista sull’esperienza religiosa è che tutto ciò può essere anche descritto in modo scientificamente assolutamente coerente e documentato. Un discorso finalmente disinibito circa la CIAD ha pertanto il grande merito di permettere non solo la riconciliazione tra Paganesimo e Cristianesimo, ma anche di revocare l’ormai datata polemica della Ragione contro la Fede, e così anche l’orientamento fondamentalmente anti-religioso dell’intera scienza moderna.
Vincenzo Nuzzo
[1] Pauliina Remes, Neoplatonism, Berkeley Los Angeles : University of California Press 2008, 1 p. 16-17
[2] Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio. La filosofia rivelata dagli oracoli, Milano : Bompiani 2011 ; Étienne Gilson, La filosofia nel medioevo, Milano : Rizzoli 2014, I-II, p. 11-201
[3] Frithjof Schuon, Logica e trascendenza, Roma : Mediterranee 2013, 2 p. 26-28, ibd. 4 p. 53-67, ibd. 5 p. 71-72
[4] Elena Gritti, Proclo. Dialettica anima esegesi, Milano : LED 2008, Introd. p. 9-23, ibd. I-II p. 25-120
[5] Agostino, De immortalitate animae, in : Giovanni Catapano (a cura di), Agostino. Sull’anima, Milano : Bompiani 2012, i1 p. 65, ibd. iii4 p. 73, ibd. v8 p. 79, ibd. i1-vi10 p.83-85, ibd. vii 12 p. 89 ; Agostino, De quantitate animae, in : Giovanni Catapano, Agostino i1-2 p. 123-127, ibd. xxvi-xxvii, 50-53 p. 243-251
[6] Étienne Gilson, La filosofia, II, 2 p. 139-154
[7] Arnold Toynbee, Il mondo ellenico, Torino : Einaudi, 1967, XIV-XVI, p. 200-229 ; LMA Viola, Essere italiani, Forlì : Victrix 2015, I, II p. 35-49
[8] Julius Evola, Federalismo imperiale, Napoli : Controcorrente 2004 ; Carl Schmitt, Il Nomos della terra, Milano Adelphi 2003, I, 3-5 p. 38-77, ibd. III, 1 p. 163-178 ; Vincenzo Nuzzo, Elogio della monarchia imperiale, Napoli : Controcorrente 2010
[9] Nota : Si trova una sensibile traccia di tale consapevolezza nello sforzo fatto da Proclo per ovviare a tale carenza [Giovanni Reale, Proclo di Costantinopoli ultimo grande esponente del pensiero greco-pagano, in : Michele Abbate (a cura di), Proclo. Teologia platonica, Milano : Bompiani 2005, I-VI p. XIII-LVI]. Ed è da rilevare anche che tale necessità era stata recepita in pieno dall’imperatore Giuliano già al tempo di Plotino.
[10] Paolo Scarpi, Le religioni dei misteri, Milano : Mondadori, 2004, II, VI p. 157-257, ibd. VII, p. 261-347 ; Plutarco, Iside e Osiride, Milano : Adelphi 1994 ;
Filippo Càssola, Inno I. A Dioniso, in : Filippo Càssola (a cura di), Inni omerici, Milano : Mondadori 2004, p.5-17 ; Karl Kerényi, Dioniso, Milano : Adelphi 2011, II, 2, IV p. 224-244 ; Raimon Panikkar, I Veda, Milano : Rizzoli 2008 ; Anne-Marie Esnoul (a cura di), Bhagavadgītā, Adelphi Milano, 1992
[11] Alessandro Bausani (a cura di), Testi religiosi zoroastriani, Edizioni Paoline Roma 1964 ; Tersilla Gatto Chanu, Miti e leggende della creazione, Fabbri Milano 2001, I p. 30-41
[12] Robert Graves, La Dea Bianca, Milano : Adelphi 2012, 4-5 p. 71-110, ibd. 7 p 129-139, ibd. 9 p. 161-187
[13] Porfirio, La filosofia rivelata dagli oracoli, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, 323F-324F p. 117 – 119.
[14] Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male. Adelphi Milano 2006, III p. 53-70, ibd. IX, p. 175-206 ; Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza, Newton Compton Milano 2005, § 32 p. 44-45, ibd. § 95 p. 64, ibd. § 240-296 p. 106-130, ibd. § 368-399, p. 161-177
[15] Renè Guènon, Simboli della Scienza Sacra, Milano : Adelphi 1975, p. 15-59 ; LMA Viola, Religio aeterna, Forlì : Victrix 2004, p. 7-79 ; Fritjof Schuon, Sulle tracce della religione perenne, Roma : Mediterranee 1988 ; Swami Sri Yukteswar, La scienza sacra, Roma : Astrolabio 1993, p. 31-5, ibd. 107-117 ; Georges Vallin, La prospettiva metafisica, Roma : Victrix 2007
[16] Nota : Ed in tale contesto si delinea in modo estremamente significativo la “tradizione romano-italiana” così come esposta in modo dal Viola. Essa si fa infatti portatrice dell’intuizione della trascendente e divina missione storico-religiosa, in qualche modo propria dell’intero Paganesimo greco-romano, che è stata affidata ad uno specifico spazio storico-geografico ed alla sua intera cultura (in primis religiosa). Spazio storico-geografico che però non dimentica né mistifica affatto la sua ristretta identità. Anzi se ne fa carico fino alle sue estreme conseguenze (e senza alcun sagace calcolo strategico-demagogico) sul piano dell’assetto sociale (aristocratico) e dell’azione politica (esplicitamente legata alla conquista bellica). Con la conseguenza che in tal modo diviene ben più chiaro come debbano essere davvero intesi lo spirito missionario e l’afflato ecumeni stico. E quindi diviene ben più chiaro quale sia il vero sfondo della loro formulazione presso il Cristianesimo. Ma oltre a ciò diviene soprattutto chiaro che la planetarietà ed eternità della Scienza Sacra (ovviamente ben più che ristrettamente geografica e storica) non esclude affatto il suo impersonamento storico-locale. Con la conseguenza del vero e proprio manifestarsi di una suprema Realtà divina (del tutto puramente trascendente), che però è evidentemente tutt’altro che indifferente al valore specifico dell’identità di un luogo e della sua storia. Questa suprema Intenzione permette dunque che, entro le perfino oscure vicende storico-locali, possano (sebbene solo entro i termini concreti consentiti da un superiore Disegno) tralucere per un tempo lo splendore, l’altezza e la grandezza di una Realtà che è utopica come tutto ciò che è trascendente ed eterno. Ed è questo il significato che va allora attribuito alla straordinaria saldatura tra una dottrina metafisico-religiosa e le vicende dell’Imperium, così com’è avvenuta (in modo senz’altro unico e forse irripetibile) nella terra Italia con Roma al suo centro. Certamente tutte le complesse e multiformi vicende della planetaria ed ecumenica “Respublica christiana” non sono che una pallida ombra di tutto questo. E ciò peraltro anche a causa di una molto poco onesta retorica mistificatrice della vera identità nascosta sotto tali apparenze. Retorica che in primo luogo mistifica circa la vera natura dell’universalismo qui in causa.
[17] Frithjof Schuon, Sulle tracce della religione perenne, 5, p. 65-75 ; Frithjof Schuon, L’unità trascendente delle religioni, Roma : Mediterranee 1997, 8, p. 145-172
[18] Paolo Scarpi, Le religioni dei misteri, I, I p. 3-219
[19] Giuseppe Girgenti, Porfirio ierofante. Il platonismo come religione, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, p . V-CXV ; Pauliina Remes, Pauliina Remes, Neoplatonism, 1 p. 1-33
[20] Raffaele Torella, Introduzione, in : Raffaele Torella (a cura di), Vasugupta. Gli aforismi di Śiva, Milano : Adelphi 2013, p. 13-77
[21] Robert Graves, La Dea Bianca, Introd. p. 13-20
[22] Nota : Lo studioso suppone in quest’ultima il paradigma arcaico stesso di ogni religione proprio dello spazio culturale ed antropologico europeo, e precisamente quella religione della Grande Madre che trovò la sua fioritura nell’Egeo e che fu caratterizzata dalla divinizzazione della spiritualità femminile e della Vita.
[23] Nota : Va ricordato qui il significato originario di “mistico”, che ha diverse valenze (Paolo Scarpi, Introduzione, in : Paolo Scarpi, Le religioni dei misteri, I p. XI-XIX). Come “mystikós” (aggettivo relativo all’insieme delle realtà “mistiche”, o τὰ μυστικά) esso indica un complesso rituale codificato, istituzionale e pubblico, di riti festivi detti anche “misteri” (τὰ μυστήρια). Inoltre indica anche la dimensione orgiastica quale “agire rituale”. Ed infine indica la necessità del silenzio esoterico, o “myesis” ( dal verbo μυῶ)
[24] Giamblico, I misteri dell’Egitto, Como : Red 1995 ; Giamblico Giamblico, Vita pitagorica, Milano : Rizzoli 2008
[25] Julius Evola, La Tradizione Ermetica, Mediterranee Roma 2002
[26] Ernst Nolte, La rivoluzione conservatrice, Soveria Mannelli : Rubbettino 2009
[27] Vincenzo Nuzzo, Heidegger. Il moderno pensiero della distruzione, Forlì : Victrix 2014
[28] Donatella Di Cesare, Heidegger e gli Ebrei, Torino : Bollati Boringhieri 2014, 3,2 p. 86-88, ibd. 3, 9 p. 118-121, 3, 12 p. 129-131, 4, 12-14 p. 270-279 ; Donatella Di Cesare, Heidegger & Sons, Torino : Bollati Boringhieri 2015, 2, 1 p. 77-80, ibd. 2, 8 p. 99-105, ibd. 2, 16 p. 127-130
[29] Donatella Di Cesare, Heidegger e gli Ebrei, 3, 9 p. 118-121
[30] Raffaele Torella, Introduzione, in : Raffaele Torella, Vasugupta, p. 19
[31] Giuseppe Girgenti, Porfirio ierofante. Il platonismo come religione, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, I, p. XXX-XXXV.
[32] Étienne Gilson, La filosofia, V p. 295-392
[33] Giuseppe Girgenti, Porfirio ierofante, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, I, p. XXXV-XXXIX
[34] Nota : Testo per il quale viene comunque messa in dubbio la sua paternità (Giuseppe Girgenti, Porfirio ierofante, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, I p. LXVII-LXIX)
[35] Nota : L’esposizione della cui prassi può essere poi constatata proprio entro la riflessione sulla dimensione “sovra-essenziale” del divino così come si trova in Scoto Eriugena [Giovanni Zuanazzi, “Dire l’indicibile. Negazione e trascendenza nel Periphyseon di Giovanni Scoto Eriugena”, Acta Philosophica, 12(1), 2003, 89-121]
[36] Giuseppe Girgenti, Porfirio ierofante, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, II, p. XCIX-CV
[37] Giuseppe Muscolino, Magia, stregoneria, teosofia e teurgia. La trasformazione del neoplatonismo, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, p. CXVII-CCXI
[38] Giuseppe Girgenti, Porfirio ierofante, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, II, p. LXXI-LXXIX
[39] LMA Viola, Essere Italiani, I, V p. 73-82
[40] Giuseppe Muscolino, Magia, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, p. CLIV-CCVI
[41] Proclo, Elementos de teologia, Aguilar Buenos Aires 1975 ; Jesús de Garay, “La dialéctica en Proclo”, Revista Archai, 5 (2010), p. 83-90
[42] Porfirio, Sul ritorno dell’anima, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, 284aF-302bF p. 51-83
[43]LMA Viola, Essere Italiani, I, II-III p. 35-67
[44] Porfirio, La filosofia rivelata dagli oracoli, in : Giuseppe Muscolino e Giuseppe Girgenti, Porfirio, p. 87-278
[45] Giovanni Catapano (a cura di), Agostino. La Trinità, Milano : Bompiani 2013, I p. 10-93
[46] ibd. p. 96-175
[47] ibd. p. 242-325
[48] ibd., p. 327-371
[49] ibd., p. 408-455
[50] ibd., p. 505-547
[51]ibd. p. 550-595
[52] Vasugupta, Śivasūtra. Primo dischudimento, in : Raffaele Torella, Vasugupta, 5 p. 111-114
[53] LMA Viola, Essere Italiani, I, I p. 21-34
[54] Antonio Catapano, Agostino. La Trinità, p. 792-865
[55] Nota : Un estremamente suggestivo riflesso di tutto ciò si può ritrovare nello shivaismo, laddove lo stato di unificazione a Śiva da parte dello yogin diviene possibile proprio in forza della definitiva dissoluzione di tutto ciò che era ancora “corpo”, e quindi ancora “differenziazione” (consecuzione spazio-temporale), che è solo del molteplice (Vasugupta, Śivasūtra. Terzo dischudimento, in : Raffaele Torella, Vasugupta, 25, p. 237-238)
[56] Pauliina Remes, Neoplatonism, 1, p. 1-33
[57] Nota : Ci sembrano emblematiche di tutto questo le ragioni recentemente addotte dalla Prof. Di Cesare (vedi le opere già citate) per l’assoluzione di quell’Heidegger che è stato del tutto giustamente accusato del crimine di anti-semitismo. Il principale capo dell’atto di difesa è qui infatti proprio il presunto merito imperituro acquisito dal pensatore con la sua così radicale lotta alla metafisica (che non a caso trova proprio nell’”Ebreo” il suo bersaglio centrale). In un recente articolo abbiamo esposto parte delle nostre considerazioni critiche verso un’inaccettabile operazione come questa (Vincenzo Nuzzo, “Santo Heidegger”, www.succedeoggi.it, 23.02.2016)
[58] Dermot Moran, The Philosophy of John Scottus Eriugena, Cambridge: Cambridge University Press 2004, p. 241-242; Étienne Gilson, La filosofia, I p. 11-103
[59] Juan Cruz Cruz, Neoplatonismo Y Mistica, Pamplona : Ediciones Universidad de Navarra 2003
[60] Franco Fabbro, Neuropsicologia dell’esperienza religiosa, Roma : Astrolabio 2010, Introd. p. 15-19
[61] Franco Fabbro, Neuropsicologia,10, 1, p. 174-179, ibd. 11, 8-10 p. 246-257 ; ibd. 13, 2-4 p. 307-3171
[62] Frithjof Schuon, L’unità trascendente delle religioni, 1 p. 15-21
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