Argia

Qualche anno fa, sulla stampa locale, comparve la notizia che la vedova nera, il famigerato ragno velenoso che si credeva estinto da decenni, godeva invece ottima salute e si riproduceva tranquillamente nelle campagne sarde.

Perché tanto interesse per un ragno di pochi millimetri di grandezza, con l’addome globoso di un nero lucido punteggiato di macchioline rosse?

In effetti già i suoi colori, nella muta simbologia della natura, hanno il loro significato; sono un perspicuo avviso: attenti, sono letale! Il veleno della malmignatta (Latrodectus Tredecimguttatus), è infatti decisamente potente, circa quindici volte più potente di quello del serpente a sonagli. Fortunatamente, però, la quantità di tossina che questo ragno può iniettare quando morde, è decisamente bassa; ciò non toglie che quando l’Argia o Arza o Ardza (questi sono i suoi appellativi in sardo) punge un malcapitato, le conseguenze possono essere talmente gravi da far cadere la vittima in crisi convulsive ed alterazioni della coscienza. Scrive il Jervis: “..il morso può non venire avvertito, o essere trascurato, cosa che facilita la non identificazione della causa dei disturbi. A qualche minuto dal morso si ha la comparsa di una sintomatologia di tipo tossico generale (malessere, sudorazione)  accompagnata da disturbi neurologici specifici: dolori violentissimi che partendo dalla zona colpita si irradiano a tutto il corpo e sono particolarmente intensi nell’addome, tanto da simulare un addome acuto peritonitico, o da poter essere da parte dei più incolti riferiti a coliche o doglie da parto; disturbi visivi; ansia vivissima con depressione, pianto e sensazione di morte; in seguito segni di confusione mentale, irrequietezza e particolare tendenza a tremito e spasmi dolorosi agli arti inferiori, tali da simulare a volte movimenti di danza o movimenti convulsivi; disturbi neurovegetativi come sudorazione profusissima, congestione del volto, ritenzione urinaria e a volte eccitamento sessuale”.

Comunque con l’appellativo di  Argia (in Sardegna), viene significato anche un altro artropode: la  mutilla, una piccola vespa solitaria, carnivora, senza ali, vistosamente colorata, che si può osservare aggirarsi intorno ai formicai in cerca di vittime. Dotata di un pungiglione di ben cinque millimetri e del relativo veleno, non ha niente da invidiare alle sue cugine gialle e nere (come anche nelle conseguenze della sua puntura!). In certe zone della Sardegna, la FrumigArgia è temuta e rispettata come il ragno di cui all’inizio e talvolta è identificata con esso nel mito dell’Argia,  anche perché entrambi richiedevano, quale cura tradizionale alla loro puntura, il ricorso ad una particolare terapia.

Proviamo a spostarci idealmente nel passato……, in una di quelle estati sarde nelle, quali tutta la comunità di un paese collaborava, sotto la polvere canicolare, alla mietitura e trebbiatura del grano; è proprio qui, tra i corpi seminudi, la stanchezza, il sudore e i piedi scalzi dei contadini, che si consumava il silenzioso assalto dell’Argia, sconvolgendo, non solo il povero e operoso contadino, ma infrangendo un momento di comunione e collaborazione dal quale dipendeva la sopravvivenza dell’intera stessa comunità. E’ proprio in questo contesto, ritengo, che l’Argia ha fatto il salto di qualità, divenendo mito fino a sollecitare speciali rituali praticati sino agli anni ’60 del secolo scorso e che oramai rimarranno nella memoria sociale e culturale della Sardegna.

In un ambito culturale primitivo nel quale entità soprannaturali regolavano e dominavano la vita delle comunità, l’Argia è stata elevata da piccolo ragno (seppur pericoloso), a Essere con capacità di possedere il corpo e lo spirito del colpito che, quale elemento di una comunità che si sente a sua volta colpita nella sua interezza, viene da questa soccorso con rituali di liberazione.

Sembra quasi che, nell’immaginario popolare, la  Divinità-Ragno, occupasse un posto di primo piano fra i pericoli reali o fantastici che insidiavano i nostri antenati, come se, oltre a colpire dolorosamente il corpo del malcapitato, riuscisse a tormentarne anche l’anima.

Come negli antichi riti legati alla fertilità (tramandati fin quasi ai nostri giorni), paura ed impotenza causavano la necessità di esorcizzare le minacce legate al soprannaturale, mediante scongiuri che, senza tralasciare il mito originario, si sono successivamente rimodellati sulle nuove esperienze religiose.

Dopo l’affermarsi del cristianesimo, le invocazioni protettive e gli scongiuri contro questo pericoloso nemico, che il contadino o il pastore imparavano a temere sin da bambini, si rivolgevano a Dio, alla Madonna, ai Santi che venivano comunque accomunati alle antiche divinità legate al Sole ed alla Luna.

Le Argie, nella nuova cultura, diventano anime malvagie e dannate che, tramite il velenoso morso, trasferiscono la propria pena nella persona colpita.

L’Argia, quale presenza e minaccia per la comunità, era sempre un essere femminile che poteva appartenere a diverse tipologie di ceto e stato civile, inoltre spesso proveniva da un altro villaggio pertanto estranea a quella vita sociale nella quale si insinuava (istrangia). Viceversa, prevalentemente maschile era la casistica dei casi di possessione.

Il rituale di liberazione era un esorcismo finalizzato ad individuare le caratteristiche dell’Argia colpevole. Questo rituale prevedeva l’esecuzione di musiche, canti, travestimenti e interrogatori in presenza della comunità, coinvolta in danze e scherzi carnevaleschi, per una durata di tre giorni;  terminava quando il parassita, ormai smascherato, abbandonava la propria vittima.

Quale conseguenza del fatto che l’Argia fosse considerato un essere femminile, il corpo esorcistico prevedeva la presenza e partecipazione di sole donne (tre o sette), mentre l’unica figura maschile era quella del suonatore.

Il gruppo interveniva con diverse metodiche al fine di esplorare l’Argiato sin quando le musiche, i suoni o il comportamento degli esorcizzanti non risultavano graditi all’essere che possedeva il malato. Il successo del rituale veniva decretato da una sorta di dialogo con il  ragno che, soltanto alla fine, permetteva al posseduto di rientrare nella sfera comunitaria.

Particolarmente importante era poi il ruolo del suonatore; egli doveva avere una profonda conoscenza dei balli tipici delle varie zone della Sardegna e pertanto era suo primo compito interpretare gli spasmi dolorosi degli arti inferiori del colpito come movimenti di una danza, di cui riproduceva il ritmo, ricercando e riproducendo una musica conosciuta che avesse la stessa cadenza, in un lavoro di sincronizzazione realizzato con l‘organetto o le launeddas.

Se questi suoni erano tipici di un paese o territorio differente, questo veniva identificato dalla interpretazione popolare, come l’area di provenienza dell’Argia e tale musica veniva proposta, per i tre giorni del rito, con le stesse modalità, accompagnando il bizzarro ballo del posseduto che danzava da solo o sorretto da altri ballerini.

La musica risultava essenziale anche nella caratterizzazione dello stato civile dell’Argia.

Chi era posseduto ballava e personificava la “sua”  Argia particolare e, dal suo riconoscimento, si differenziava il conseguente rituale: se era preda di una Argiabambina (pippia o  pizzinna), veniva cullato con ninne nanne tradizionali o improvvisate, che non erano rivolte all’ammalato ma piuttosto all’entità che lo possedeva, che veniva quindi invitata a tornare ai suoi giochi infantili e non fare più ritorno.

Chi veniva punto da una Argia-fidanzata, o maritata, o nubile, o sedotta (isposa, coiada,  bagadia,  cugliunada), veniva coinvolto in una rappresentazione amorosa fatta di canti d’amore, ricerca di partner, relative nozze e parto simbolico (prentoxia-partoriente); un rituale, questo, a forte tenore erotico nel quale, grazie all’alibi della possessione, potevano emergere comportamenti pretesto atti a violare i tabù sessuali che vincolavano la vita del paese.

La vittima di un’Argia-vedova (viuda), veniva compianta invece come morta, in quanto il parassita richiedeva una interpretazione di cordoglio e pianto per il proprio sposo, preparatoria al successivo rituale di rinascita che aveva lo scopo di riportarlo in vita.

Più statiche erano, infine, le figure dell’Argia-vecchia o malata (beccia o martura), che rifiutavano il ballo, erano caratterizzate da immobilità e torpore ed il malato veniva curato con la cerimonia del focolare domestico o con l’immissione in un forno tiepido.

Anche il travestitismo aveva la sua importanza in questi rituali di identificazione/liberazione/guarigione; all’Argiato venivano fatti provare diversi costumi femminili, sino a quando, l’alleviarsi dei sintomi indicava che l’abito indossato risultava gradito all’Argia perché corrispondeva a quello del paese da cui proveniva.

Le tecniche di esplorazione comprendevano anche l’interrogatorio esorcistico nel quale l’Argia si manifestava per bocca del posseduto, dichiarava apertamente la sua identità e provenienza, i motivi della sua pena ed esternava le sue pretese. Questa fase concludeva i tre giorni del rituale, plasmati sulla effettiva fisiologica durata dell’avvelenamento.

È importante notare di come il simbolismo rituale sopra descritto, possa oscillare tra il ruolo di esorcismo terapeutico e quello della festa, tra l’esaltazione della possessione e l’aspetto carnevalesco, dovendosi rapportare ai differenti orientamenti indotti dalla presenza o meno di una componente cristiana.

Nel tempo sono state date molteplici interpretazioni a questi rituali, collegandoli magari a miti lontani nel tempo e nello spazio; sicuramente, pur avendo punti di confronto con il tarantismo pugliese legato al culto di San Paolo, l’argismo sardo era nettamente differenziato, spesso scevro dalla radice cristiana e che conservava, soprattutto nella Sardegna centro orientale, caratteristiche ancestrali e fortemente pagane con chiassate, pantomime, rituali orgiastici, in apparente antinomia con la funzione ed il simbolismo di guarigione.

Oltre alla concretezza dell’avvelenamento, il mito che si era sviluppato sull’Argia non corrispondeva a nessuna realtà oggettiva anche se ciò non aveva alcuna importanza: chi veniva punto ci credeva …., era membro di una comunità che ci credeva.

L’Argia rientrava nell’atavico sistema di esseri soprannaturali, spiriti protettori o malvagi, animali magici che permeavano la quotidianità e richiedevano quella ritualità che, oltre  ad aiutare il contatto con il divino, stabilivano un’armonizzazione tra l’individuo che compiva i riti, e la sfera sociale nella quale agiva. La possessione  Argiatica infatti, creava uno stato nel quale il malato parlava con e attraverso l‘Argia, mentre, alle persone che lo assistevano, era permesso avere un rapporto diretto ed un dialogo col Nume Possessore.

Tutte le tecniche del rituale avevano un unico scopo: rafforzare i sentimenti di appartenenza dell’individuo in seno alla comunità di appartenenza. Per mezzo di un unico ritmo, un’unica veste e ruolo, si configurava un modello di comportamento coerente in ogni particolare, ovverosia, si realizzava il passaggio dal caos all’ordine in cui, in un contesto di forte socialità, la collettività si attivava prendendosi cura del malato e reintegrandolo al suo interno.

Mario Camboni


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4 Commenti a “Argia”

  • ignazio gaviano:

    molto interessante, ho appreso cose fino ad ora sconosciute.
    Grazie.
    ciao

  • sardigna:

    Ciao, articolo molto interessante. Non è che potresti indicarmi le fonti su cui ti sei basato? Ho bisogno di documentazione sull’argia in Sardegna. Grazie mille.

  • Stefano:

    Salve, mi chiamo Stefano, l’anagramma di stefano è st efa no, onesto affetto, qui l’inganno dei molti, punto ” a una festa ” provenienza pizzinna e fidanzata e vedova, sono qui per raccontare la mia esperienza non tuttora ultimata, risiedo a quartu, sardo, ho i miei anni, una disfunzione morsi dal ragno o serpente russel in questione, e non riconoscere la propria età, quasi suona da bestemmia se si associa al periodo inerme del virus nel corpo durante l’esercizio del vivere quotidiano, ragion per cui mi sembra non consono alla tribu cristiana.
    Tribu e tabu come vissuti non delimitano lo stesso percorso preso in esame da una variante religiosa o politica ma forse in quest’ultimo caso piu popolare. tradizionalista, intanto, come sciamano che mi ha proposto in questo ambiente, riconosciamo le pelli e i tappeti, le usanze, le pelli sono delle riserve per il ragno o il rettile che si annida nei tuoi pensieri, senza essere captato che sia passato da li prima del tuo cadere e decadere in una cadenza che si tratta di una forma di pazzia indotta, il sentire il sonaglio del tuo nemico che sottende un aiuto parentorio ai fini di inganno. affrontiamo meglio:
    l’inganno della pelle dove i piedi tastano li insinua lo svolgimento a insaputa della vittima, ma il nome che la vittima porta deve rimanere segreto per il tempo del rito solo allora la vittima arriva a morire.
    la pelle del tappeto è la visibilità di campo al rettile, come tutti sappiamo rettili e insetti sono sensibili alla luce, la pelle di animali assorbe, quindi l’interpretazione di un antenna trova il suo stato di mimesi in un fabbricato come un tappeto, trova la sua natura, intanto, ripetersi appartiene ad alcuni insetti, ma questo non è la provenienza linguistica di chi e stato punto, chi e stato punto non riconosce la propria eta, non sa il suo percorso, non sa la provenienza del proprio nome, chi è punto sente i sonagli, nel mio caso ho evocato suoni da conchiglia umbanda il canto femminile di loae, il ragno lascia cicatrici, e se si aspetta del tempo, molto tempo, come sempre nel mio caso, si apre una voragine come sotto dal terreno, tu vedi sopra, ti senti il serpente, il serpente che non nasce ma che risponde al sonaglio, se prima ti adulava nelle sue spore seduttrici, sei stato al suo inganno, hai scoperto il tuo segreto. conosci l’ora e il luogo dove morirai, la tua , mia pazzia consiste nel dirigere suoni e parole senza averne memoria, senza prendere coscienza dei posti che si spostano, la corrente come il discorso delle pelli, hanno il loro contenuto ingannevole, la corrente non isola ma porta a se, motivo di minaccia per un rettile sono luce, acqua, pelli, cavità, grotte, polveri, paure, reagire alla paura ho trovato temi come esorcizzare, la paura che si affronta esplode sulla vittima come pazzia, è l’emancipazione la prevalenza la dominazione di una scelta non tua, la matassa il fulcro dell’inganno che nel tempo se rimane, la vittima vive, e ha scoperto il luogo del suo nome, se non lo scopre muore nei casi della vita, è venuto alla vita di cui la madre che l’ha partorito non era consapevole, era la madre che ne soffriva del suo morso da qui l’origine della malattia riguarda l’uomo sempre che la causa venga attribuita a un insetto o rettile, inoltre gli alimenti non sono una necessità, la guarigione da alimenti e piu lunga perche e una mimesi dell’animale predatore, mentre una riposta istantanea e un veleno associato, un veleno da fiore, dove scorrono i fiumi, un lago dove conifere e alberi alti intercorrono tra montagne e colline, la mimesi degli ortaggi( falso nome ), delle conifere e laghi da collina.
    altro disturbo e non riconoscere la causa, qui operando con questa tesi evinta da copiosi spazi a cui viene deceduto e si risale dalla sua autopsia, dati del testo da cui il sottoscritto presume questo sito nasca.
    Arrivederci, ho lasciato dei commenti,
    Salve… (by Stefano P )

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