Tratti di simbologia indoeuropea

È solo con la Ricerca e Tradizione, benché biecamente offuscata dal razionalismo illuministico, che rincominciò l’idilliaco cammino dell’uomo per pervenire alla riscoperta interiore della propria origine. In questo clima dissacrante molti scienziati, ricercatori e studiosi di ogni campo e disciplina, tendono a alzarsi in una sorta di volo utopico al fine di ricomporre idealmente, quelle strutture da adottare sul piano umano. Ecco allora di come, dalle affinità di alcuni termini indiani con quelli latini, greche e germanici, hanno origine numerose e approfondite analisi che non contemplano né coincidenze, né fatalità. In tal quadro ben si inserisce lo studio glottologico del 1833 di Franz Bopp (filologo orientalista tedesco fondatore della  Scienza Indoeuropeistica - Magonza, 14 settembre 1791 / Berlino, 23 ottobre 1867), che arrivò ad accostare la lingua sanscrita con quella persiana, greca, latina, lituana, gotica, tedesca ed, in seguito, anche con lo slavo, il celtico, l’illirico e l’armeno.

Compare quindi per la prima volta l’aggettivo  indoeuropeo (in linguistica indica una grande famiglia, gruppo o insieme di lingue dalle comuni origini, comprendente sia lingue morte che viventi in una parte del globo), oltre al termine Ario (nobile), da quelle popolazioni che si definivano tali nei confronti degli stranieri conquistati promovendosi, infatti, nobili rispetto a loro. Gli  Arii (antico ind.  ayra, antico pers.  ariya, avestico  airyo., europeizzato  ari o  arii), si possono riconoscere in un complesso di popolazioni che risiedevano in un’area geofisica localizzabile a nord dell’India e nelle zone del Mar Caspio; vissuti intorno al III-II millennio a.C., con le migrazioni esportarono costumi, usanze e consuetudini che generarono linee di vita simili con un idioma pressoché identico.

Da ovest verso est, le lingue ariane si possono così definire:

- il germanico, impiegato in Danimarca, in Scandinavia meridionale e in Germania settentrionale nel periodo antecedente al 500 a.C., tuttora espressione continuata nelle lingue scandinave, nel tedesco, olandese e inglese;

- il  celtico, usato storicamente nelle isole Britanniche, Gallia, alcune zone della Spagna, Italia del nord e, in modo più ampio, ad ovest e sud della Germania (da cui proveniva  originariamente lo stesso antico popolo), in Irlanda e in ristrette zone del Galles, della Scozia e della Bretagna;

- le parlate italiche, multiple e distintamente differenti come il latino-falisco (usato sul basso corso del Tevere e sui Colli Albani), il  veneto (compreso tra l’Adige e l’Istria), l’osco-umbro (usato dalle genti umbro-sabelliche circoscritte nell’area dell’Italia centrale appenninico-adriatica), con linguaggi minoritari compresi tra il sud del Lazio (ausoni) e la Sicilia (siculi);

- l’illirico, ancora oggi presente anche se profondamente modificato nell’albanese, storicamente diffuso tra la Grecia settentrionale, l’attuale Jugoslavia e l’Austria; un esempio di parlata illirica vi fu anche nella Puglia arcaica (iapigi e messapi);

- il  tracio, nella Romania, Bulgaria (daci), Ungheria dell’Est e, dai Carpazi, fino alla fonte del fiume Dniester; una ramificazione del tracio è la parlata dei frigi che popolavano la Frigia antica (regione dell’Anatolia centrale), da mettere a ragguaglio con i cimmerii che risiedevano invece nel sud Ucraina;

- il  greco suddiviso in  ionoco,  eolico,  dorico e  macedone (anche se quest’ultimo contaminato dall’illirico);

- il baltico, con i suoi linguaggi lettone, lituano e prussiano;

- lo slavo, odiernamente utilizzato in ampie estensioni in Europa orientale e Asia (polacco, cecoslovacco, bulgaro, serbo-croato e russo), ma in principio diffuso in un ambito territoriale compreso tra Vistola e le paludi del Pripjat e Dneper;

- l’ario, adoperato dai  nobili delle steppe prima  che della scissione politica del territorio da cui ebbe origine la Persia, il Kashmir e il Gange;

- l’ittita, parlata in Anatolia all’inizio del secondo millennio;

- il tocario, presente nel Turkestan cinese sino al VII secolo d.C. .La stretta affinità tra le lingue non può far altro che condurre a: un’unica radice (Ursprache), un unico popolo (Urvolk), un’unica antica patria (Urheimat); un massiccio fenomeno migratorio.

Con gli spostamenti gli indoeuropei incontrano la betulla, la quercia, il pioppo, le conifere e gli animali come il lupo, il cervo, il castoro; assegnano i nomi alle stagioni; imparano come le foreste, radure, tutto viene illuminata dai raggi di luce che, spezzando le tenebre della immensa selva, riconobbero come sacra e divina.Un altro simbolo, tra i più importanti, nella ritualità indoeuropea e rappresentato dal Fuoco; espressione della luce che, con la sua sacralità trascendente, permette la visione degli angoli più oscuri del cosmo, finisce per assumere il nome di dyeus(dio supremo), emblema della purezza ascetica assoluta. Identico nucleo sacrale è riconoscibile anche nei riti romani della purificazione delle armi, nell’Armilustrium(officiato il 19 Ottobre) e quelli delle  Parilie (21 Aprile); nelle popolazioni indoeuropee di ramificazione orientale (satem, gli odierni persiani); in Grecia con Hestia (da hestiàò, ovvero, accogliere nel focolaio domestico), la dea del fuoco che arde in ogni focolare.

Eppure, sebbene il fuoco è annoverato nella simbologia del principio maschile, esso riconduce all’eterno femminino in quanto forza di vita procreatrice in ambito domestico. A tal proposito Julius Evola scriveva: “di contro alle acque quale principio femminile, il principio maschile fu frequentemente associato al fuoco”. Come in molti altri casi, qui si deve però tener presente la polivalenza propria ai simboli tradizionali (…)”.

A conferma di ciò, tra i numerosi cerimoniali antichi, è opportuno far menzione del cosiddetto battesimo del fuoco che, diretto ai neonati, gli iniziava ad una dimensione, una Realtà Superiore; in Grecia, per esempio, l’infante, fin già dal quinto (o decimo) giorno di vita, veniva sottoposto a tale rito che era in sostanza identico anche in India e Roma, dove però il nono giorno, dopo l’esecuzione del cerimoniale, il padre eseguiva l’imposizione del nome (dies lustricus).

Anche dopo la morte del corpo, il fuoco manifesta la sua forma simbolica prestandosi al rito della cremazione, secondo il rogo funerario, attuando quella forza che grazie al consumo degli ultimi resti  terreni, spinge il morto in forma folgorante verso l’immortalità.

Ecco dunque mostrarsi uno tra i simbolismi più antichi: la  croce. La sua forma geometrica è costituita da due semirette che si intersecano tra loro formando un angolo retto, a rappresentare due elementi uguali ma contrari nel loro significato: la parte orizzontale costituisce la valenza negativa, la terra, che separa gli inferi dal mondo celeste; la verticale riproduce quella positiva che fa interagire la vita celeste con quella sotterranea;  il punto d’intersezione delle due parti simboleggia invece la Realtà Assoluta, il Tutto…., l’Uno. Infatti la figura archetipica della croce era costituita da una forma circolare (equivalente all’Universo), divisa in quattro quadranti. Spesso la si ritrova come cerchio, come il Sole, cui venivano tolte parti del suo perimetro per meglio descrivere il movimento rotatorio e la sua funzione di dispensatore di energia.

La croce, simbolo antichissimo di certa origine precristiana, è quindi emblema di vita. Conosciuta col nome di Ankh (chiave della vita) nella civiltà egizia, diffusa in Fenicia e in Grecia come Tau (croce ansata), arrivò a rappresentare il dio Hu dei Druidi celtici; in India era invece diffusa come Svastica (croce uncinata) nella cui forma i tratti circolari del sole sono rettificati.

La Svastica, il più antico simbolo della razza indogermanica, allude: all’Est, al Sole, alla Luce, alla Conoscenza; al Sud che con il suo clima caldo sviluppa la crescita; all’Ovest, regno del tramonto del buio, dei misteri e della rinascita; al Nord che con il suo clima rigido tempra e promuove la trasformazione positiva, come l’affermazione dell’Ordine sul Caos.

Luca Cadoni

 

Scarica l’articolo

Condividi
  • Print
  • Digg
  • del.icio.us
  • Facebook
  • Twitter
  • Google Bookmarks
  • Add to favorites
  • email
  • LinkedIn
  • PDF
  • RSS

2 Commenti a “Tratti di simbologia indoeuropea”

  • eugenio:

    molto interessante

  • Johne307:

    Hi there, just became aware of your blog through Google, and found that it’s truly informative. Im gonna watch out for brussels. I will appreciate if you continue this in future. Many people will be benefited from your writing. Cheers! begaabdaeeea

Lascia una replica per eugenio